Il 2020 è stato l’anno dello scatto. Delle prime stories su Instagram, di quel pomeriggio di lockdown in cui mi sono detta “magari faccio una newsletter”, dei sondaggi, delle dirette. Della sperimentazione, senza castelli mentali o esperienze pregresse che potessero influenzarla. Il 2021, invece, è stato l’anno della resistenza, quello in cui ho imparato che è molto più difficile tenere il fiato piuttosto che fare uno sprint. Della versione premium. Dell’assestamento ma anche delle mille domande, bivi, decisioni correlate a quella di provare a rendere un progetto nato per caso un lavoro vero e proprio. Dei cambiamenti totalizzanti, personali e professionali.
Arrivo alla fine di quest’anno cotta a puntino, travolta dalle emozioni. Ma anche davvero molto grata. In questi due anni ho capito che non amo particolarmente espormi, mi sembra sempre di non riuscire a comunicare le tante sfumature che stanno dietro a un punto di vista. Eppure sono molto felice di questa palestra, è davvero uno stimolo continuo a migliorarsi.
Avrei voluto utilizzare questo episodio di Parliamone proprio per parlare di questo progetto e di quello che ci sta dietro, dall’organizzazione del lavoro alla riflessione su come veicolare le informazioni. Ma c’è una tradizione fortunata da rispettare e per questo ho scelto di rimandare. Come ho scritto nel primo Bloc-Notes, la rubrica che curo dallo scorso ottobre su Vogue Italia, la parte del lavoro che preferisco è quella di unire i puntini, connettere i fatti e contestualizzarli. In effetti, era abbastanza chiaro da parecchio tempo, e in particolare da un pezzo che mi è particolarmente caro, uscito a dicembre 2019 su iO Donna e disponibile online, quello sui dieci anni di moda che erano appena trascorsi. L’anno scorso, poi, avevo fatto lo stesso esercizio. E quindi oggi non potevo esimermi dal provare a tirare fuori le chiavi di lettura del 2021. Ho deciso di farlo in modo diverso, perché tra i buoni propositi del 2022 c’è “non sederti, prova cose nuove”. Quindi, ecco le 18 cose che hanno definito la moda del 2021. Il dono della sintesi lo rimandiamo a un’altra newsletter, sorry.
1. Lo styling non è morto
Un anno fa non mi sarebbe passato dall’anticamera del cervello di partire da questo. Eppure, il premio Isabella Blow conferito a Ib Kamara agli scorsi Fashion Awards è esemplare di quanto l’immagine di moda sia tornata centrale. Certo è un’immagine completamente diversa da quella svuotata di ogni significato a cui ci eravamo abituati negli ultimi anni. Quella di oggi è narrativa, politica, attivista: la storia è al centro e gli abiti sono funzionali nel darle vita. Paradossalmente mi fa ripensare al Vogue Italia di Franca Sozzani, le cui storie sono invecchiate benissimo e da cui possiamo ancora imparare molto.
La differenza è che a creare quelle immagini era una cerchia ristretta di creativi bravissimi ma anche privilegiati, mentre ora chiunque può creare una storia meravigliosa e farla conoscere. Questo fa sì che lo styling sia diventato molto più vario, perché è un processo molto personale che spesso a che fare molto con le origini del creativo e ciò che ha dato forma al suo senso estetico. i-D ha segnalato un po’ di nomi da conoscere.
2. Come cambia la critica di moda
Ne abbiamo parlato abbondantemente all’evento Studio in Triennale e potete recuperare la conversazione in formato podcast.
Ma è un tema caldissimo perché la pandemia e Instagram hanno portato un esercito di persone a leggere di moda con ritrovato interesse, dopo anni di distacco dai giornali e dai loro contenuti. Due anni dopo abbiamo capito dove stava il problema: il contenuto deve andare dai lettori, non viceversa. Restano aperte molte altre questioni: si può fare davvero una critica libera o in qualche modo si dipende sempre dai propri gusti personali e dai rapporti con i brand? Stiamo andando verso una critica costruttiva o distruttiva? La recensione della sfilata serve ancora a qualcosa o siamo pronti per nuovi formati?
L’aspetto più interessante è la crescita in termini numerici di punti di vista. Non esiste testata online che non faccia pezzi di analisi, ormai, mentre due anni fa si contavano sulle dita di una mano. Anche Instagram è orma popolatissimo e su TikTok, a guardare bene, si trovano cose interessanti, mentre la distanza ideologica tra giornalista, creator, divulgatore, influencer, eccetera comincia a farsi davvero confusa. Ma ha davvero importanza?
3. Back to edicola
Certo è che tutta questa nuova attenzione sulla moda arriva in modo piuttosto bizzarro, nell’anno in cui due case editrici (e non ce ne sono molte altre) fanno fuori buona parte del loro staff. Ma questo non significa che i giornali di carta siano morti e sepolti, anzi. Significa invece che quel famoso cambio generazionale di cui tanto si è parlato per anni (sicuramente da quando io ho cominciato a lavorare, quindi una decina) è in atto. Non in modo uniforme, certo. Ma è in atto. E così chi nel frattempo si era ritagliato uno spazio ne trova anche nei giornali tradizionali, mentre le testate indipendenti ritrovano il proprio fascino e attraggono finalmente anche gli inserzionisti.
4. L’élite degli oggetti di culto
Ho chiesto a voi (su Instagram) quali fossero gli oggetti di moda di quest’anno. E tra centinaia di risposte tornavano sempre gli stessi, dimostrazione della polarizzazione dell’interesse e del perché i brand del lusso rincorrono sempre più la spettacolarità nella comunicazione. Per fare diventare un oggetto cult serve un impiego di energia davvero considerevole, e sono pochi i marchi che possono permetterselo. Ecco qua i cinque oggetti più citati:
Jackie di Gucci (in assoluto il brand più nominato)
Cleo di Prada, quella con i brillantini
Rose Heel di Loewe, ma in generale Jonathan Anderson
Microcardigan di Jacquemus (forse il capo più copiato dai fast fashion di sempre?)
Balaclava di Miu Miu (gli abbiamo dedicato l’ultima newsletter del mercoledì, addirittura)
5. L’eredità di Virgil Abloh
Ha lasciato un’idea diversa di chi debba essere un direttore creativo, quale debba essere la sua preparazione, gli interessi e le competenze. Pierre Mallevays ha fatto un’interessante riflessione sul “dopo” di altri marchi: Yves Saint Laurent, Alexander McQueen, Versace. Ma chi è l’erede di Virgil?
6. Pierpaolo, Demna, Donatella, Alessandro, Maria Grazia, Miuccia
Sempre su Instagram vi ho chiesto chi fossero le persone più rappresentative della moda nel 2021 e i loro sono i nomi più gettonati. Pierpaolo Piccioli ha staccato gli altri di un bel po’, con decine e decine di citazioni. Il perché credo stia in un mix di questi tre ingredienti 1. gentilezza, PPP utilizza un linguaggio diretto, autentico, spontaneo e mai sopra le righe. È l’aspetto che fa funzionare tantissimi grandi account e, credo, qualcosa di innato che non puoi costruire ad hoc 2. attivismo, per primo si è speso per diverse tematiche, vaccini compresi 3. ottimo utilizzo della piattaforma, sa maneggiare Instagram molto meglio di tanti SMM che conosco. Sogno una puntata di Muschio Selvaggio dopo aver apprezzato molto quelle con Donatella Versace, Alessandro Michele e Maria Grazia Chiuri, qualcuno può suggerirlo a Fedez e Luis?
7. Metaverso, WTF
Devo ammetterlo, sulla newsletter del Metaverso avevo un po’ di ansia da prestazione. Mi ha consolato sentire i vostri feedback e accorgermi che non ci capiamo molto di questo internet 3.0, per ora. Niente paura, affronteremo l’argomento insieme anche nel 2022, ma se vi siete persi lo spiegone recuperatelo qui ⬇️
8. Sexy e non è una tendenza
Con la vittoria dell’LVMH Prize Nensi Dojaka è diventata il simbolo di questa ondata di sexy. La sfilata PE2022 di Miu Miu per molti è stata la migliore della stagione, con vite basse, minigonne e micropull. Ci stiamo tutti un po’ preparando psicologicamente a una stagione di corpi scoperti, maschili e femminili.
L’occasione è ghiotta per fare un ripasso veloce tra micro e macro tendenze. Le prime (minigonna, crop top, vestiti cut out, maglie gioiello, cardigan vedo e non vedo, potrei andare avanti per ore) ormai durano il tempo di realizzare che esistono, comprarle al fast fashion e pentirsene amaramente. È chiaro ormai che non importa a nessuno se hai un top a forma di farfalla, compralo se ti piace e pensi possa rispecchiare il tuo stile, altrimenti fanne a meno. Il sexy, invece, è una macro tendenza: ha a che fare con la pandemia, con il rapporto con il nostro corpo, con la voglia di uscire (fisicamente e mentalmente), con il fatto che ci abbracciamo a intermittenza da due anni e figurati come deve essere conoscere una persona in epoca COVID. Insomma, il sexy non è una tendenza passeggera, ma non importa con che capi o accessori lo si interpreta.
9. Nuove generazioni da fashion week
Anche solo per un fatto di vicinanza anagrafica una giovane editor non può che tifare per i giovani designer. Se fino a poco tempo fa ci tifavamo solo tra di noi, però, ora le cose stanno finalmente cambiando. Dopo anni di hub installati durante la Milano Fashion Week e frequentati solo da noi stagisti, ora la nuova generazione si è presa davvero il suo spazio e andare a un loro evento conta, per cui vi si trova uno spazietto tra lo show di uno dei tanti mega brand e la presentazione di uno dei tantissimi marchi di accessori e dintorni. Dunque, ripassone dei nomi italiani imperdibili da fashion week, alcuni appena nati, altri già giganti:
Un pezzo per capire qualcosa in più su tre di loro.
10. Il business del piccolo schermo
Halston, Gossip Girl, And Just Like That…, Emily in Paris, ma anche Ariana Grande in Valentino in Don’t Look Up e presto arriveranno Spencer, in partnership con Chanel, e la seconda stagione di Euphoria. Non c’è mai stata così tanta moda nei film e nelle serie tv, o meglio, non in modo così consapevole. Per un brand un’operazione di product placement oggi è un goal importante tanto quanto vestire una celebrity.
11. La corsa all’oro del vintage
Se vintage e second hand sono scoppiati nel 2020, il 2021 è stato l’anno in cui anche il lusso si è preso la sua fetta con progetti come Gucci Vault, Valentino Vintage, Jean Paul Gaultier Archive. Il 2022 proseguirà su questo filone: rimettere a posto gli archivi, dare accesso ai consumatori alle informazioni sulle vecchie collezioni, rinforzare l’identità del brand attraverso la sua estetica passata.
12. I celebrity stylist sono le nuove celebrities
Li avete citati anche voi nel sondaggio: Law Roach con Zendaya, Harry Lambert con Harry Styles, Nick Cerioni con i Måneskin, Ramona Tabita con Elodie… Questo è stato senza dubbio l’anno dei celebrity stylist. È attraverso i loro occhi (e i loro contenuti social) che oggi guardiamo i red carpet e i vari eventi - e questo li ha resi decisamente più interessanti. Se l’argomento vi appassiona quanto appassiona me:
13. Nemico pubblico
La verità è che (per ora) il termine “moda sostenibile” causa dei gran mal di testa agli addetti ai lavori. In questo biennio, infatti, la sensibilità da parte del consumatore è aumentata, ma i metodi di produzione non sono cambiati granché. Certo, di realtà che dimostrano ogni giorno che un modello di business diverso può esistere ce ne sono, ma restano dei piccoli satelliti in un universo fatto ancora alla vecchia maniera e di uffici comunicazione che provano in ogni modo a inserire la parola “green” nei loro progetti speciali augurandosi di non essere accusati di greenwashing.
Per ora le energie convergono contro un solo nemico, lo straconsumo. E se su diritti dei lavoratori e consumo idrico restiamo indietrissimo, possiamo almeno consolarci nel constatare il fatto che concetti come “uno entra e uno esce”, “wardrobe capsule” e “uniform dressing” sono definitivamente entrati nella testa di chi è attento al tema. Si tratta comunque di una piccola fetta sul totale dei consumatori e il caso SHEIN ne è la dimostrazione: se per alcuni è il ricercato n.1, simbolo dell’ultima, diabolica generazione di fast fashion, migliaia e migliaia di persone ogni giorno taggano il brand in contenuti social, dimostrando che la strada per la consapevolezza è ancora lunghissima.
14. Non è l’ultima collaborazione
Ho perso il conto di tutte le volte che ho letto (e scritto) “questa è l’ultima collaborazione, si è visto tutto”. Quando qualche anno fa lo streetwear ha investito la moda, infatti, l’idea era che si trattasse di un innamoramento momentaneo, una delle tante cose che così come arrivano se ne vanno. Invece il metodo della collaborazione, propria dello streetwear, appunto, non se ne andrà: l’idea di convergere due o più creatività, ma soprattutto due o più target, ha arricchito molte casse in questi anni. Ed effettivamente è tra le grandi collaborazioni che troviamo i progetti più creativi di questi tempi. Proprio per la sua grandezza creativa e allo stesso tempo la capacità attrattiva del prodotto pensavo che The Hacker Project (la collezione nata dalla collaborazione-non-collaborazione tra Gucci e Balenciaga) sarebbe stata l’ultima. Ancora una volta mi sono detta: basta, si è fatto tutto. Qualche mese dopo è arrivata Fendace, la doppia collezione swipe tra Fendi e Versace, a dimostrazione che devo davvero smetterla di dire che si è fatto tutto.
15. Datemi un negozio (e una ragione per andarci)
Poco prima di Natale stavo chiacchierando con un’amica e lei mi ha chiesto “dove compri i regali?”. La mia risposta: online, no? Non mi era nemmeno passato per l’anticamera del cervello di andare per negozi e lasciarmi ispirare da quello che vedevo, mentre avevo già scandagliato qualche selezionatissima guida ai regali di Natale. Nel 2020 avevamo parlato tanto di negozi, a causa delle chiusure. Il 2021 è scivolato via tra lockdown, un’estate velocissima e di nuovo la paura degli assembramenti. Sappiamo che la formula vincente è quella dell’experience: andremo in negozio per fare delle cose, assistere a delle cose, imparare delle cose. Quest’estate, ripensandoci, sono stata a un micro evento di presentazione del nuovo album di Mahmood in negozio da Burberry, esattamente il tipo di iniziativa che può portare le persone in negozio, che ne dite?
Metto nella lista dei buoni propositi un po’ di posti in cui tornare: Modes, Tenoha, Miniampère, Imarika, Cargo, Clan Upstairs.
16. Il momento dei maschi
Ci vorrebbe una newsletter intera per raccontare tutto quello che è successo nel menswear quest’anno, per fortuna l’ha fatto Rachel per noi. Pensate anche alle celeb, quest’anno abbiamo commentato i look maschili tanto quelli femminili, finalmente.
Io dico solo che tra qualche giorno ci sarà la Milano Fashion Week (ci sarà? Chi lo sa, vedremo) e ho come il sospetto che si rivelerà più interessante del solito.
17. Uniform dressing
La pressione dei social media, l’attenzione da lockdown al guardaroba (vi ricordate quando non facevamo altro che guardare e riguardare i nostri vestiti?), la sensibilità contro lo straconsumo… Non siamo mai stati così consapevoli di quello che indossiamo. E l’uniform dressing, che poi non è altro che l’arte di avere un proprio stile ossessiona un po’ tutti (almeno a giudicare dai messaggi che ricevo ogni giorno). Andrea Whittle ha intervistato qualcuno che la sua uniforme l’ha trovata, e c’è molto da imparare.
18. Phygital
Ok, possiamo concludere dicendo che “phygital” è la parola più brutta del 2021? Grazie. Anche perché la tiritera su sfilate dal vivo vs sfilate digitali non è destinata a finire qui e sarebbe davvero il caso di trovare un termine migliore per definire un evento che riesce a essere efficace sia nella vita reale che attraverso uno schermo contemporaneamente. Nel frattempo ce l’ha fatta solo uno, ed è Demna. Questo non significa, tra l’altro che eventi solo digital oriented non possano essere efficaci, lo dimostrano gli show-in-a-box di Loewe by Jonathan Anderson. E che un buon vecchio show dal vivo - con tutti in prima fila a fare foto e video - non possa fare il suo sporco lavoro.
Vorrei dirvi che c’è un premio per essere arrivati alla fine ma temo sia rimasta solo la mia riconoscenza 🙈 Perché per questo 2021 lifechanging devo ringraziare anche voi 🧡 Grazie per la vostra curiosità, attenzione, gentilezza… Saranno la benzina per un 2022 con il botto 💥
Io, su Instagram | Le newsletter precedenti
Copyright © 2020 La moda, il sabato mattina | Graphics @ Studio pesca
Ciao Federica! Approfitto della lettura della newsletter per dirti una cosa: la newsletter è stata per me un grande regalo del 2021 (in ogni senso dato che me l'hai regalata tu!!) e io sono sempre felice di leggerti (e più è lunga meglio è) e farmi trasportare in questo mondo che tanto amo e che tanto è distante dalla mia routine (tre bambini, un lavoro da attuario svolto prevalentemete da casa).... In bocca al lupo per tutto, per la maternità e per le mille altre identità che ti abitano!