Non credevate mica che vi avrei lasciato senza un mega round-up di fine anno, giusto? Postilla per chi non c’era: a dicembre del 2019 ho scritto un pezzo per iO Donna sulla decade che andava concludendosi e, beh, è stata un po’ quella la miccia, il punto in cui mi sono resa conto che c’era un sacco di gente curiosa nei confronti della moda. E quindi è diventato un grande classico e se volete anche recuperare quello dell’anno scorso è qui.
Ma prima di iniziare: per me Vivienne sta in uno di quei cassetti delle prime cose a cui ti appassioni da giovane. Ho letto tutto su di lei (qui una selezione di libri), studiato il punk, guardato e riguardato le foto della collezione Pirate del 1981, comprato il mitico choker e sfiorato i Pirate Boot. Il suo lascito più importante, credo, è l’impegno che ha messo sul tema della sostenibilità. Ambientalista prima che per la moda fosse d’obbligo, tra le altre cose Vivienne ha realizzato un manifesto pieno di creatività e spunti intelligentissimi: potete sfogliarlo e scaricarlo da questo link.
Dunque partiamo, 9 punti (+1) per dirci che anno è stato quest’anno.
1. La fine degli stilisti-divi, per davvero
Curioso come proprio nel pezzo che vi citavo qui sopra iniziassi da questo tema e prendessi Virgil Abloh, Alessandro Michele, Demna Gvasalia e Daniel Lee come esempi di una generazione diversa di direttori creativi. È passato poco più di un anno dalla morte di Abloh e sembra sempre più difficile che qualcuno possa davvero raccoglierne l’eredità. Michele ha lasciato Gucci, Lee Bottega Veneta. Due percorsi diversi, eppure entrambi hanno dimostrato che il successo può essere un boomerang. Demna (e Balenciaga tutto), infine, ha fatto una serie di scelte che ci dicono che forse si è andati troppo oltre con l’urgenza di una comunicazione strabiliante.
Con ogni probabilità le aziende si sentiranno un po’ scottate dagli ultimi avvenimenti, e forse i prossimi designer saranno ancor meno che divi, posizionati in modo più laterale dai loro stessi CEO, per far sì che non si brucino altre ali.
Italia futura
È importante ricordare come prima della pandemia nessuno, dico nessuno, si occupasse degli stilisti nuovi-emergenti-giovani italiani. Parlo della generazione che oggi ha (circa) 30 anni, quindi dei miei coetanei. Era veramente frustrante trovarsi alle sfilate, per le quali i designer spendevano un sacco di soldi, e vedere che non c’era nessun giornalista senior, nessun direttore moda, eccetera. Oggi le cose sono cambiate e, solo per fare un esempio, all’ultima sfilata di Act N.1, supportata da Pierpaolo Piccioli e Valentino, c’era Vanessa Friedman, direttrice moda del New York Times, e un buon numero di redattori di Vogue, italiani e non. Io non potrei essere più orgogliosa di aver scritto delle ultime collezioni di ANDREĀDAMO, Cormio e GCDS su Vogue Runway, perché trovarsi lì resta uno dei traguardi più importanti per un brand. E per il 2023, avanti con tutti gli altri. Da tenere d’occhio anche Marco De Vincenzo, Filippo Grazioli e Maximilian Davis: loro hanno il compito di scrivere un nuovo pezzo di storia di tre marchi italiani - Etro, Missoni e Ferragamo.
3. Core, estetiche, micro-trend e altre ossessioni
Poteva accorciarsi ancora la durata della vita di una “tendenza”? Ebbene sì, abbiamo scoperto quest’anno. Gli UGG Ultra Mini sono durati un battito di ciglia, solo per fare posto agli UGG Clogs e poi agli UGG Guard Boots: prodotti di uno stesso brand che si cannibalizzano tra loro. E poi la micro gonna di Miu Miu e la gonna cintura di Diesel, i cargo e i parachute pants, le Samba e le Gazelle, la Baguette e la Glass Bag… Potrei andare avanti per molte righe e lo stesso identico discorso vale per le estetiche, di cui abbiamo parlato in questa puntata da voi molto apprezzata. Il mercato si fraziona all’infinito, i marchi vogliono raggiungere tutti e io, che sono ottimista di natura, spero che questo, almeno, alimenti la crescita di uno stile più individuale. Sicuramente non giova in termini di sovrapproduzione, ecco.
Arrivano le leggi
Chi ha seguito il ciclo di dirette Sostenibilità Time con Silvia Stella lo sa bene, nella moda servono le leggi. Così come le classificazioni dei cibi che compriamo e mangiamo sono standardizzate, così dovrebbero essere quelle dei vestiti. Fino a oggi abbiamo navigato in una infinita e difficile da comprendere serie di certificazioni, trovandoci sempre più confusi anche su temi che dovrebbero essere di chiara distinzione, come quello del cotone organico (ne avevo parlato qui). E, in molti casi, perdendo la voglia di impegnarci verso un guardaroba più sostenibile. Eppure ci siamo sensibilizzati, anche la stampa ha fatto il suo lavoro in molti casi, come quello ormai enorme di SHEIN. Ora tocca alle leggi e l’Unione Europa sembra fare sul serio con il suo Green Deal, stiamo a vedere.
Cover, cover, cover
Tutto cambia, eppure la copertina resta. E resta più o meno uguale, nel costoso e dispendioso modo in cui viene prodotta. Quello che cambia, però, è il suo atterraggio. Non solo in un (si spera) buon posto in edicola, dove deve attirare l’occhio e invogliare a sfogliare e comprare. Ora rimbalza sui social e il numero dei suoi like impatta e non poco su quelli di vendita delle effettive copie cartacee dei giornali. E comunque non importa, non sono quelli a fare la differenza nei conti delle case editrici. Importa, invece, che rafforzino l’autorevolezza. Perché quanti video su TikTok esistono a proposito di Nepo Babies? Infiniti. Eppure non sfiorano nemmeno la potenza di un racconto giornalistico come quello del New York Magazine.
Kim&Kanye&Julia
Kim si è messa l’abito di Marilyn al MET gala, facendo arrabbiare un po’ tutti (e confermando che è tornata la cultura per la magrezza). Kanye ha fatto cose molto più gravi ed elencarle tutte sarebbe faticoso, ma ci siamo capiti. L’unica nota positiva è che ha portato alla mia attenzione (e a quella di molti altri) la mitica figura di Julia Fox, sulla quale Clara Mazzoleni ha scritto un pezzo imperdibile. Peccato anche lei abbia rinunciato al suo corpo da bombshell in favore di addominali inquietanti e smokey eyes a cazzo. Kim e Julia, vi vogliamo bene, non deludeteci.
Prezzi e posizionamenti
I prezzi del lusso sono cresciuti, e tanto. È chiaro che i brand non guardano al mercato italiano per quella fascia, non siamo noi i protagonisti. Però è interessante vedere come esistano anche delle strategie più articolate che riguardano sì, il posizionamento, ma anche il raggiungimento di target diversi tra loro. Vi straconsiglio la lettura dell’analisi della strategia di Saint Laurent che, per la cronaca, è guidato da un’italiana, Francesca Bellettini, chief executive. Con il direttore creativo, Anthony Vaccarello, Bellettini sta facendo un lavoro super efficace, in cui creatività e business si incontrano alla perfezione, soddisfacendo i clienti con una rinnovata e contemporanea immagine della sofisticazione parigina di cui il brand è espressione massima e, soprattutto, andando a colpire diverse disponibilità economiche lì dove le persone comprano, nel reparto borse. Oggi esiste una piccola linea di fascia alta (una shopper costa circa 3500 euro) ma anche una linea canvas con un entry price basso (695, basso è sempre relativo nel lusso). “You have to keep in mind the role of each category. The accessories are what help clients entering the brand, while the ready-to-wear is about growing in the brand,” Bellettini said. “We can raise prices, but at the same time we need to protect the entry-point.” 👏🏻
Momenti virali
Lyst ha dichiarato Bella Hadid con l’abito spray di Coperni come viral moment dell’anno. Temo di essere in disaccordo, forse perché ho trovato il riferimento troppo didascalico nei confronti della sfilata primavera estate 1999 di Alexander McQueen (che vi agevolo qui sotto perché vale un rewatch) e spoglio di tutta quella carica teatrale ed emotiva che era propria del designer. Insomma, mi è parsa una furbata. Ho trovato ben più virali altri due momenti: l’apertura delle porte nel finale di Gucci, con il pubblico (me compresa) che si rendeva conto di non essere davanti a uno specchio e che sì, i modelli erano doppi, anzi, gemelli - mi hanno detto però che in streaming l’effetto non era così forte, io ho pianto e non piango mai, giuro). E la couture di Valentino a piazza di Spagna (anche lì ho pianto).
Ma è chiaro che così come le cover, oggi le sfilate devono funzionare tanto quanto per “spaccare l’internet” che per appagare il pubblico presente.
La storia d’amore con il Metaverso è in pausa (mentre ne inizia un’altra)
Dopo quella strana cosa che è stata la Metaverse Fashion Week, la conversazione è scemata e molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Ci si chiedeva semplicemente, abbiamo davvero bisogno di un mondo parallelo? E poi una spiegazione sul perché la moda sia così interessata e allo stesso tempo frustrata dal Metaverso me l’ha data Andrea Panconesi, founder di Luisaviaroma, con cui ho chiacchierato a lungo per un’intervista uscita sul numero di settembre di Vogue. «Paradossalmente ci troviamo in un momento molto simile (a quello dell’arrivo degli e-commerce di moda, ndr), perché il Metaverso e, più in generale, il “vestire digitale” corrispondono alla prossima rivoluzione della moda. Noi abbiamo già fatto dei passi in questo senso (tramite l’app MOD4, una sorta di camerino virtuale con sfide e momenti di intrattenimento), ma l’esperienza ci ha insegnato che qualsiasi investimento non funziona finché non c’è la tecnologia giusta. Esattamente come vent’anni fa avevamo dovuto aspettare una connessione più potente per vedere il nostro business allargarsi a macchia d’olio sul territorio, così sta succedendo ora. Noi, comunque, ci faremo trovare pronti». Mentre ci metto la firma qui, nel 2023 parleremo un bel po’ di intelligenza artificiale, siete pronti?
BONUS TRACK. Giuro che se non fosse uscito questo pezzo non l’avrei messo. Oppure sì, perché come si fa a parlare di 2022 senza di lui? E quindi diciamocelo, è stato il suo anno. E noi fan dai tempi degli One Direction non possiamo che esserne lieti. Ora pausa, però, perché non lo vogliamo mica in burn out. Ci vediamo il 22 luglio.
Di tutto questo, Harry compreso, ne parliamo nella nuova chat di Substack, se vi va. È un canale che ho solo iniziato a sperimentare e mi farebbe davvero piacere avere un feedback da parte vostra, vi aspetto!
Dunque, eccoci alla fine, non mi resta che ringraziarvi. Il 2022 è stato per molti versi cinico e caotico, un osso duro per me che sono sognatrice e precisina. Ho dovuto confrontarmi con il fatto che il sistema che mi appassiona è diverso da come lo vorrei in tantissimi aspetti e anche con un ritmo che non condivido, ma con il quale devo scendere a compromessi. Anche questa newsletter, che è stata davvero la migliore compagna possibile dei due anni di pandemia, mi ha messa alla prova in più di un’occasione, eppure non smette di essere fonte di soddisfazioni e gratitudine. Grazie a voi, quindi, che ci siete stati e continuate a esserci. Auguro a tutti un 2023 pieno di creatività, sensibilità verso noi stessi, gli altri e l’ambiente in cui viviamo. E di gran bei vestiti, naturalmente (ma non troppi).
Sono Federica Salto, ho 32 anni e faccio la giornalista. La moda, il sabato mattina è nata il 2 maggio 2020 e ogni settimana propone tutto quello che serve sapere della moda (e anche qualcosa di più)
Grazie a te, Federica, per averci dato ogni sabato nuovi spunti e riflessioni. Continua così! Buon 2023 🥂