La moda, il sabato mattina. Urge trasparenza
Quando l’anno scorso è uscito il primo Sustainabilty Report di BoF, una vera e propria classifica di quanto e come i grandi brand del fast fashion, dello sportswear e del lusso si muovono per diventare più responsabili, mi ha lasciata senza parole. Era un po’ che mi interessavo alla questione, in effetti, soprattutto grazie all’amicizia nata durante il primo lockdown con Silvia e i nostri Sostenibilità time (sì, vogliamo farle diventare qualcos’altro, ci stiamo riflettendo). Ma vedere i nomi così, messi in fila, classificati per le loro azioni, mi aveva fatto un effetto diverso e infatti ne avevo scritto in una puntata della newsletter, cercando di semplificare e rendere accessibili le tante informazioni del report.
Tempo di dati. Quest’anno BoF non ha replicato, mi sono detta che forse è perché le cose stanno cambiando ancora molto lentamente e quindi i dati non sarebbero stati così diversi. Ma è arrivato puntuale il Fashion Transparency Index di Fashion Revolution, che fa questo tipo di lavoro da sempre e che, ultimamente, ha saputo rendersi più accessibile. 123 pagine di report, comunque, sono impegnative e dunque eccomi a fare da facilitatore, o almeno ci provo. La prima cosa da sapere è che i 250 brand analizzati (inclusi perché hanno risposto volontariamente a un questionario, 23 sono nuovi, gli altri avevano già partecipato precedentemente) crescono tutti troppo poco in termini di trasparenza. È così, non c’è molto da fare, nonostante l’impegno comunicato dai più sul tema della sostenibilità, l’indice di trasparenza è cresciuto rispetto all’anno scorso solo di un punto percentuale in media. Parentesi: voi pensate alle persone che lavorano da Fashion Revolution e che ogni anno si mettono ad analizzare tutti i benedetti dati di tutti i benedetti marchi per scoprire che si è andati avanti solo di un millimetro 😩
L’elefante nella stanza. Ad ogni modo quello che vorrei fare qui oggi è accendere un occhio di bue su uno dei pillar del report, perché in effetti avevo il sospetto che fosse più grave degli altri e direi che lo si può notare anche ad occhio nudo. So che si legge poco ma voglio mostrarvi la differenza:


Fashion Revolution aveva auspicato che entro il 2022 almeno il 50% dei brand analizzati avrebbe pubblicato almeno la lista dei produttori di primo livello. E invece siamo ancora al 48%. Per chiarezza: i first tier sono i produttori che si occupano del taglio, del cucito e dell’assemblamento dei capi e degli accessori, quindi quelli che si occupano dell’ultimo ciclo di produzione prima che i pezzi arrivino effettivamente al brand. E mentre la fascia dei disclosing facilities è passata dal 26% al 32%, aumentando di ben 6 punti, restiamo ancora molto più indietro sui fornitori di materiali, dichiarati solo dal 12% dei brand coinvolti, 1 punto percentuale in più rispetto all’anno scorso. Ecco perché invito alla cautela quando vediamo l’etichetta cotone sostenibile, e vale un po’ per tutto.
Cosa serve ora. Per farla breve (e perseverare nel mio ruolo di facilitatore) non sappiamo quasi niente di dove e come vengono prodotti i nostri vestiti. È dunque davvero urgente che i marchi dichiarino sempre di più da chi si approvvigionano. Solo così Fashion Revolution e le altre associazioni (ma soprattutto, se possibile, con calma eh, i governi) potranno verificare le condizioni e i parametri con cui i loro capi e accessori sono prodotti e trasmettere poi le informazioni ai consumatori. E noi, i consumatori, potremo essere più liberi di scegliere.
ATTENZIONE. Se ti occupi di sostenibilità per un marchio o hai il potere di passare questa informazione a chi di dovere, Fashion Revolution consiglia di dichiarare i propri produttori nell’OAR, uno strumento gratuito e open-data, utilizzato dalle associazioni (insieme ai questionari compilati volontariamente) per redarre i propri report e, di conseguenza, fare informazione.
COSE CARINE A CUI STO LAVORANDO
Sempre bello dare spazio a storie che ne valgono la pena. “Il bello delle cose che esistono già”, con testo di Carlotta Centonze e foto di Lucia Buricelli, era arrivata per Pitch Perfect e invece ha fatto un giro diverso (Vogue)
E invece avete ricevuto il racconto semplice ed efficace di Stefano Rosso a proposito di una maglietta, fa riflettere sull’attenzione che diamo ai vestiti e su quanto li paghiamo (Pitch Perfect)
Ecco perché non dovreste smettere di mandarmi le vostre proposte. Ad agosto ci fermiamo ma avrò anche il tempo per leggere e quindi ecco le istruzioni per candidarsi
PEZZI BELLI DELLA SETTIMANA
Un pezzo bellissimo sul valore politico che sempre di più assegniamo alla moda, spesso senza renderci conto che non tutta la moda ha un valore politico (i-D)
Instagram, che sta invecchiando peggio degli altri (Il Post)
Avrà fatto bene victoria’s Secret a direzionare il suo rebranding su inclusività e capi funzionali ed essenziali? (NYT)
Storia di Brain Dead, brand streetwear che insieme a Them sta riportando di moda il blading (e noi a casa ne siamo felici) (Vogue Business)
Che fine hanno fatto le pubblicità controverse? (Harper’s Bazaar)
MODA DA GUARDARE, LEGGERE E ASCOLTARE
25 anni senza Gianni Versace, recuperiamo la sfilata celebrativa primavera estate 2018, quella con le supermodels nel finale 👇🏻
È uscito il Fashion Transparency Index 2022, studio e magari ne parliamo settimana prossima (Fashion Revolution). Anche se la moda ha ancora un sacco di problemi con i dati (BoF)
SHOPPING LIST
Come farmi spendere, guida agli abiti responsabili (Silvia Stella Osella su Instagram) (oggi doppia cit 💚)
Li guardavo per me e dunque costumi da bagno di Lido in saldo: bikini nero, bikini verde, intero nero, monospalla rosso e ce ne sono altri
SCUOLA E LAVORO
L’agenzia Studio Re cerca un digital pr e influencer marketing account, il negozio milanese Imarika cerca una venditrice che gestisca anche gli account social, Loro Piana un content production coordinator
L’arte di risparmiare nella nuova puntata di Rame (Spotify)
Spero che questa newsletter vi abbia raggiunto in un weekend di mare (o di montagna, come vi pare), comunque di relax. Enjoy e noi ci risentiamo sabato prossimo!
P.S. Solo arrivando alla fine di questa newsletter, precisamente creando l’URL per programmarla, mi sono resa conto che è la centesima. Non aggiungo altro perché ultimamente sono troppo emotiva, solo che sono pazza io e pazzi voi, probabilmente. Ancora una volta, dunque, grazie di essere qui 💌
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