#74 I ❤️ styling
Prima i convenevoli: buon 2022! E benvenuti ai nuovi arrivati, qui siamo quasi 20mila e ogni settimana facciamo il punto sulle cose della moda: storie, interviste, campagne pubblicitarie, copertine, lavori, shopping… Non ci annoiamo, ecco. È altamente probabile che siate arrivati dal mio account Instagram quindi qualcosina forse già la sapete, altrimenti potete recuperare con un’intervista, scritta o parlata. In due parole: sono una giornalista ma sono arrivata al giornalismo dallo styling, il che è piuttosto bizzarro, lo so. Breve parentesi altrimenti qui ci perdiamo: cambiare lavoro si può fare, anzi, si deve fare! Come potrete immaginare non è stata una passeggiata di salute, ma guai se non lo avessi fatto.
Tra l’altro io amavo lo styling. Lo amo ancora! L’ho amato molto prima che diventasse un lavoro, più o meno da quando al liceo ho cominciato a sviluppare un occhio critico sulle riviste. Ho questo ricordo nitido: sarò stata in terza o quarta liceo, fuori al parco con gli amici, tutti giustamente digiuni e completamente disinteressati alla moda. Io ho in mano un numero di Marie Claire, di quelli che nel 2007 o 2008 erano dei tomi pesantissimi, e uno tra quegli amici (♥️) mi chiede “ma cosa ci trovi in tutte quelle immagini?”. Ci trovavo davvero moltissimo. È in quegli anni che ho coltivato la mia cultura visiva, quella che poi ha influenzato i miei gusti in ogni senso. Resto indissolubilmente legata a certe storie firmate da Carine Roitfeld, Grace Coddington, Alasdair McKimm, Robbie Spencer, Suzanne Koller e Katie Grand e credo mi piaceranno sempre, come ti piacciono le prime canzoni che impari a memoria. Random foto che risiedono nel mio cuore 👇🏻
Cos’è successo poi. Non importa il perché tra me e lo styling sia finita, è stata una separazione pacifica e consensuale, non eravamo fatti l’uno per l’altro. Importa però che tra i diversi fattori che mi avevano spinto a portare la mia curiosità altrove c’era - almeno ai miei occhi - un momento di stallo nello styling. Era il 2012 quando sono approdata nel meraviglioso mondo della moda e l’editoria cominciava a scricchiolare per davvero, nel senso che si facevano i primi tagli, si pre pensionavano i primi direttori di lunga data, si cancellavano gli shooting in location. Non era la prima crisi dei giornali, ho sentito i racconti del 2008, quando era già tanto se arrivava qualcosa in edicola. Ma nel 2012 arrivavano anche i blogger, i siti, lo street style, Instagram. Un attacco su tutti i fronti a quelle storie lente, costose e poco rappresentative.
L’élite del 2000. Vi è capitato di rivedere qualche commedia di quegli anni e pensare, ma come facevamo ad accettare che il cinema fosse così poco inclusivo? Ecco, con la moda è lo stesso. A guardarle adesso quelle storie meravigliose hanno solo protagoniste bianche, magrissime, ritratte in ambienti che pochi lettori potevano aspirare a visitare nella propria vita. Insomma, un po’ mi pareva che non ci fossero più i soldi per creare quelle storie, un po’ quelle storie erano improvvisamente fuori tempo. Da quel momento di stanchezza generale sono passati dieci anni (👵🏻) e, l’ho già scritto nella newsletter di fine 2021, le cose sono decisamente cambiate. In questi dieci anni è cresciuta una generazione di fashion-studenti-poi-diventati-assistenti-ora-stylist dall’approccio completamente differente rispetto alla generazione precedente.
I capitani. Della nuova squadra per me sono due: Gabriella Karefa-Johnson e IB Kamara. Conoscere il loro lavoro mi pare fondamentale per capire le immagini di moda contemporanee in cui modelli, abiti, beauty e location servono per raccontare storie sì, ma storie vere di provenienze, radici, lasciti, tradizioni, intrecci. Per molto tempo la moda ha rappresentato una sola razza, una sola classe sociale. Oggi non tutto è risolto, anzi, ma la verità è che attraverso le immagini di moda e il loro styling si diffondono culture. Gabriella e Ibrahim, a mio parere, lo fanno meglio degli altri, o comunque possono essere definiti gli apripista di questa nuova generazione. Dunque vediamo un po’ delle loro cose. Un dettaglio per iniziare: sono entrambi originari del Sierra Leone (Gabriella è nata negli Stati Uniti, Ibrahim si è trasferito a Londra a 11 anni).
La rivoluzione si fa dall’interno. Andate a dire a Gabriella Karefa-Johnson che le cose non cambiano mai, lei che è stata assistente di Tonne Goodman da Vogue America e che quest’anno è diventata la prima stylist nera a firmare una cover della rivista, caption del post da leggere 👇🏻
Tra le altre Gabriella ha firmato anche la cover con Kamala Harris in All-Star e quella di Amanda Gorman in Off-White. Prima di tornare da Vogue in qualità di editor si è fatta la ossa da Garage Magazine, dove ha messo in copertina Michaela Coel cosparsa di glitter. Il suo talento più grande è proprio quello di aver trovato la chiave per entrare in un modo che era apparentemente sigillato, sempre gli stessi creativi sul set, sempre gli stessi brand in guardaroba, sempre le stesse celebrities in copertina. E di aver portato l’inclusività al piano più alto, senza grandi compromessi.
Raccontami una storia. Giusto per cominciare vi direi che IB Kamara è un secchione e che nel 2016 uno dei suoi progetti scolastici (ha frequentato la St. Martins) è stato incluso in una mostra alla Somerset House di Londra. Si trattava di una serie di immagini realizzate con la fotografa sudafricana Kristin-Lee Moolman e che indagano sull’identità di genere e il concetto di mascolinità. Oggi Ib ha 31 anni ed è editor-in-chief di Dazed, oltre che stylist per Vogue Italia, i-D, Louis Vuitton (c’è il suo zampino in questa meravigliosa sfilata), Burberry. Difficile stabilire il suo lavoro migliore fino a oggi, ma gli editoriali realizzati con il fotografo Rafael Pavarotti sono perfetti per inquadrare il suo talento nel raccontare l’Africa nelle sue infinite identità.
Elizabeth Paton gli ha fatto una gran bella intervista l’estate scorsa, la trovate qui. E se il tema vi appassiona il miglior modo per esplorare i lavori degli stylist è scorrere le loro pagine su Models.com (ci si iscrive gratuitamente). Poi c’è l’archivio di Vogue, gratis per un mese. Buona ricerca ed evviva la moda sempre, che racconta chi siamo e di superficiale ha davvero poco.
INFO DI SERVIZIO
Giorgio Armani ha cancellato le sue sfilate (uomo a Milano, Couture a Parigi), Brunello Cucinelli non sarà a Pitti. La Milano Fashion Week prevista tra il 14 e il 18 gennaio comunque ci sarà, pare. Ne parliamo a cose fatte (o non fatte) 🙈
PEZZI BELLI DELLA SETTIMANA
È uscito il numero di gennaio di Vogue Italia, dove trovate come sempre il mio Bloc-Notes sui fatti salienti delle settimane passate. In copertina c’è Veronica Yoko che parla di fiducia, il che mi ha fatto pensare alla fiducia che riponiamo nei nostri vestiti e al rapporto sempre più viscerale nei loro confronti che si è sviluppato in questi due anni di pandemia, ho scritto qualche riflessione (Vogue)
Toh, anche la scelta tra scarpe basse e scarpe alte si sta polarizzando a causa della pandemia (quelle di Match&Match hanno tentato anche me, poi sarebbero volate in vendita su Vestiaire) (Financial Times)
Super interessante per chi ha un brand e per chi ci sta pensando: il playbook della sostenibilità di Reformation, spiegato (Vogue Business)
MODA DA GUARDARE, LEGGERE E ASCOLTARE
C’è chi ha visto il primo frame di questo video e ha pensato avesse a che fare con il mega casino di Dolce&Gabbana e chi mente. Comunque, Hoyeon Jung continua a mietere engagement, questa volta dalla copertina di Vogue US, fotografata da Harley Weir 👇🏻
La strana storia delle palline di Natale di Prada rotte su TikTok (HFT)
E quella dell’Old Money Aesthetic, sempre su TikTok (Marie Claire)
Questa settimana mi sono imbattuta non una, ma due volte in fotografie meravigliose (di Lisa Sorgini e di Jet Swan) che riguardano la maternità
SHOPPING LIST
Sono iniziati i saldi ed è proprio lì che andremo a parare con la prossima newsletter del mercoledì: sto preparando una lista di link da leccarsi i baffi
A Milano succederanno cose in tema di negozi fisici (Pambianco)
SCUOLA E LAVORO
Gucci cerca un copywriter, Sunnei uno junior producer, Off White un creative content specialist
Dazed cerca pitch, correte! E se non sapete fare un pitch c’è sempre la newsletter dedicata
Alla domanda “dovrei accettare di lavorare gratis?” risponde bene Talkin Pills, come sempre
BONUS TRACK. Spesso mi chiedono se lavorare nella moda sia davvero così tremendo come narrano le leggende ma io non credo che nel settore della finanza siano proprio degli agnellini. La realtà è che, semplicemente, abbiamo un problema con il lavoro e con la produttività, vi lascio una riflessione interessante sul tema. E anche l’elenco di contatti stilato da Daniela Collu per il sostegno psicologico, aiutiamoci tra noi mentre aspettiamo che il mondo si svegli.
Siamo arrivati alla fine della prima puntata dell’anno, giuro che non saranno tutte così lunghe 🙈 A mercoledì!
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