#65 L'America è cambiata
Diversamente dal solito, quest’anno non ho pensato alle sfilate fino a che non sono cominciate, ignorando i calendari e le voci su quello che sarebbe successo. Mi sembra una sensazione condivisa anche da altri addetti ai lavori: nonostante abbiamo passato un anno e mezzo senza eventi, viaggi e il solito circo, infatti, questo fashion month ci è cascato addosso dal nulla, come se non ci aspettassimo che potesse arrivare davvero e con modalità pre COVID (dunque tutto dal vivo). Cominciare dalla fashion week americana, poi, ultimamente era diventato parecchio faticoso, tanto che a settembre scorso l’aggettivo più consono che avevo trovato era stato “strana” e l’edizione di febbraio mi aveva lasciata in stato confusionale.
NYFW a sorpresa. Certo, la sto seguendo in digitale, esattamente come durante l’emergenza (a dirla tutta dal vivo non l’ho proprio mai vista, febbraio 2022 mi senti?), ma mi sembra di cogliere un’atmosfera diversa, anche dal triste schermo azzurro del mio computer. Quello che ci ho visto io non è un cambiamento improvviso, ma il palesarsi di tante cose che stavano succedendo e che forse però prima erano poco identificabili. Perché la moda americana, spesso riassunta in pochi concetti facili - sportswear, functionality - non è mai stata solo quella roba lì. Su questo serve un ripassone di storia gentilmente fornito da Vanessa Friedman, giusto in tempo per goderci i look a tema del Met Gala di lunedì sera.
Non si tratta solo di vestiti. Potrei farvi vedere i look più belli visti sulle passerelle, ma temo che questa volta, ancora più del solito, non si tratti solo di questo. È giusto che continuiamo a chiederci, come fa Leandra questa settimana, se la fashion week abbia davvero un senso o se sia solo un dispendio di risorse creato per alimentare la vanità del sistema. Sul tema, infatti, ci sono tante questioni aperte, soprattutto in termini di organizzazione e di inclusività del pubblico - quando cominceremo a prendere spunto dal Salone del Mobile e dal Fuorisalone non sarà mai troppo tardi. Eppure questa settimana della moda è, finalmente, l’espressione di tante cose che stanno cambiando nel sistema. E se non si fosse svolta con le modalità tradizionali e con il conseguente stream di contenuti creati non dai brand stessi ma dai loro ospiti (stories, immagini dai backstage, articoli, tweet), chissà se noi, in questo mondo in cui l’America sembra davvero lontana, ce ne saremmo accorti.
Facce nuove. Quindi, cos’è successo? Che sono cambiate le persone. O meglio, che per la prima volta lo sguardo è rivolto a persone che non sono le solite. A cominciare da Peter Do, al suo debutto in fashion week con piena accoglienza da parte del sistema tradizionale. Questo significa che il CFDA (la camera della moda americana) ha spinto l’evento con enfasi e che i giornali gli hanno dedicato tempo e spazio, investendo su contenuti dedicati al suo progetto. Questo punto è importante: l’anno scorso c’era stata della pressione perché un nome così amato sui social portasse un po’ di vita a una fashion week fatiscente, e lui aveva detto “no, grazie, prima devo concentrarmi sulla crescita del mio business”. Ora che ha partecipato non si è parlato solo dei suoi vestiti - che comunque raccontano che la moda americana non è solo quella dell’immaginario comune, come dicevamo - ma anche di un approccio diverso alla costruzione e alla gestione del team. Insomma, Do è proprio come noi altri Millennial, perennemente diviso tra la glorificazione del sistema moda di ieri (palesemente bimbo di Phoebe Philo) e la voglia di buttare quel sistema giù da un burrone. Ne abbiamo parlato qui 👇🏻
Altre facce nuove. Non sono solo quelle dei designer, ma anche di chi sfila. Praticamente impossibile trovare un casting classico, ormai in passerella ci vanno gli amici, gli artisti, i componenti del team. Su questo vince, ancora una volta, Collina Strada, sostenibile, pazzo, adorabile (recuperate la diretta per crederci).
E, a guardare bene, anche quelle degli ospiti. Se siete degli stalker delle prime file o se seguite qualche profilo di street style (Sara ha fatto una guida!) probabilmente non avrete riconosciuto quasi nessuno: tranquilli, neanche io. Direi che è un buon segno, significa che c’è una nuova generazione di persone considerate cool, che vengono da ambienti meno convenzionali di quelli a cui siamo abituati e che, dunque, il panorama creativo si sta rinnovando. Se vi sentite persi in questo senso seguite Rachel Tashjaan, fashion critic di GQ, ultimo anello di congiunzione tra l’istituzione Condé Nast e il resto del mondo (e se qualcuno poi volesse convincerla a inserirmi nella mailing list della sua newsletter sappia che è il benvenuto).
Anche vestiti nuovi. In passerella e indosso a queste facce nuove di cui abbiamo parlato. Lo ha fatto notare proprio Rachel, coniando un termine che forse risentiremo: “Depop Couture”. In effetti questi vestiti sono proprio pazzi, e forse lo sono anche gli americani che li hanno creati e indossati. Quello che è certo è che ci sono e che sono tornati a farsi sentire.
Un ultimo suggerimento di lettura (prima di quelli sotto!): oggi ricorrono i vent’anni dall’11 settembre, sapevate che era in corso la fashion week? I ricordi di chi c’era, su Harper’s Bazaar.
PEZZI BELLI DELLA SETTIMANA
Chi è Nensi Dojaka, vincitrice del LVMH prize 2021 (WWD)
Model Alliance è un’associazione importante per il settore che ora è riuscita a smuovere alcuni grossi nomi per parlare di molestie sessuali nei confronti delle modelle (NYT)
La crisi dei rivenditori e alcuni esempi, invece, di rinnovamento e di successo (BoF)
Rachel Cernansky è la giornalista da seguire se volete approfondire i temi della sostenibilità, qui spiega l’ultimo report dell’ONU (Vogue Business)
Brutte notizie dal mondo dell’editoria: pare che Marie Claire US interromperà la sua pubblicazione cartacea (New York Post)
MODA DA GUARDARE, ASCOLTARE, SFOGLIARE E COMPRARE
È uscito il secondo volume di La moda contemporanea, di Fabriano Fabbri. Antonio Mancinelli lo ha intervistato (D la Repubblica)
APC ha pubblicato il secondo drop della collaborazione con la stylist Suzanne Koller e io ovviamente sono in fissa con il trench
Politici e orologi, lo spiegone nelle stories di Francesco Oggiano (conoscete la sua newsletter?)
I Måneskin sono nella nuova campagna di Gucci 💣
SCUOLA E LAVORO
Stella McCartney cerca un Wholesale & Franchise Coordinator Eastern Europe, YOOX (YNAP) un Brand & Communications Project Specialist, Domingo un Social Media Specialist
Due settimane fa abbiamo messo in fila tutti i master di moda per il nuovo anno scolastico. Polimoda mette a disposizione una borsa di studio del 100% e 13 borse di studio del 50%, maggiori informazioni qui
BONUS TRACK. Negli ultimi mesi l’editoria di moda americana ha visto svuotarsi le proprie fila e non solo per licenziamenti e prepensionamenti vari. Le big tech, infatti, sono a a caccia di talenti e così da MarieClaire, Vogue e compagnia bella si passa a Pinterest, Google, eccetera. Ne ha scritto Emilia Petrarca su The Cut, poi Sheena Butler-Young ha aggiunto un tassello interessante su BoF: il recruiting non avviene solo nelle redazioni, ma anche negli uffici dei grandi brand di moda.
Ok, anche questa settimana è andata. Ma ci rivediamo, se volete, domani (domenica 12) alle 18,30 su Instagram in diretta con @jamb.ita per fare un riassuntone dei look di Venezia (lo so, gli ultimi giorni sono stati tragici). Domenica notte ci sono gli MTV VMA Awards, mentre lunedì torna finalmente il Met Gala che è una delle mie cose preferite, quindi poi ne parliamo in lungo e in largo. Ciao intanto!
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