#39 Operazione fashion week
Sei mesi fa in questa newsletter prendevo in giro chi si lamentava delle fashion week. Ora giustamente la cosa mi torna indietro come un boomerang: ho passato la settimana a cercare di capirci qualcosa sulla NYFW, tra calendari infiniti, piattaforme che non sai mai quale guardare, disdette all'ultimo momento e così via. Comunque continuerò stoicamente a non lamentarmi - giusto per non contraddirmi - ed eccoci qua con lo spiegone, per quanto possibile, di quello che è successo.
Da domenica 14 a mercoledì 17 febbraio è andata in scena la New York Fashion Week, tutta in versione digitale (a parte Jason Wu, che ha sfilato in un supermercato con pochi ospiti). Alla vigilia dell'evento Tom Ford, presidente del CFDA, ha annunciato un cambio di nome del calendario americano in "American Collections Calendar". Questo perché ora contiene non solo i nomi di chi ha presentato sulla piattaforma ufficiale (Runway360) nei giorni stabiliti ma anche quelli di tutti quei brand che presenteranno le loro collezioni nell'arco della stagione, anche da altre città. Per fare qualche esempio Gabriela Hearst ha presentato il 18 febbraio, mentre altri lo faranno nei prossimi giorni (in concomitanza con le fashion week di Londra, ora in corso, e poi Milano e Parigi) e altri ancora nel mese di aprile. Mancano comunque all'appello un sacco di nomi rilevanti come Tommy Hilfiger, Ralph Lauren, ecc: non è ancora chiaro se agiranno totalmente in autonomia o se il CFDA presenterà degli aggiornamenti del suo calendario. Intanto Michael Kors ha annunciato una presentazione virtuale per il 40esimo anniversario del brand prevista per il 20 aprile, e nel comunicato non si fa cenno a collaborazioni con il CFDA (mentre si precisa una "esperienza a più livelli che debutta attraverso le piattaforme sociali e digitali del marchio"). Aspettate perché non è finita qui.
Tom Ford - che si era fatto promotore di questa iniziativa, visto che probabilmente l'ha decisa lui - avrebbe dovuto presentare il 17, chiudendo simbolicamente l'evento newyorkese. Invece la sera prima ha mandato un comunicato in cui annunciava di aver rinviato la pubblicazione al 26 febbraio, "due to unforeseen circumstances related to Covid-19" 🤔🤔🤔 Lì per lì ho pensato fosse una scusa per prendere le distanze dalla sua stessa decisione, ma perché mai l'avrebbe presa allora? Mi aspettavo una cosa da drama queen in perfetto stile Ford e invece poi niente, quindi forse semplicemente era in ritardo.
Ciao Tom, tvb
Il giorno dopo a darmi una gioia ci ha pensato come sempre la direttrice moda del New York Times, Vanessa Friedman, che ha annunciato la prima di una serie di dirette Instagram sul fashion month. Indovinate con chi? Con Tom Ford. L'intervista è qui ma, visto che lo so che poi non la guardate, ve ne riporto qualche pezzo e ne approfitto per fare il punto su questa strana (a confronto questa sembrava quasi normale) fashion week.
➡️ sulla benedetta presentazione rimandata: «Sono nel mio atelier vuoto, avremmo dovuto pubblicare oggi ma la collezione non è pronta, spero che lo sarà settimana prossima. Due persone sono risultate positive e abbiamo dovuto mettere tutti in quarantena, era già successo e devo dire che è piuttosto dura lavorare così».
➡️ sul perché ha cambiato il nome al calendario della fashion week «Lo scopo originario del CFDA era far conoscere la moda americana in tutto il mondo, si trattava proprio di un'operazione di PR. Io credo che debba tornare a essere cosi: ci sono un sacco di designer americani che sfilano in Europa, perché non dovremmo segnalarli e aiutarli a promuovere il loro lavoro? Questo non significa che l'evento newyorkese non sia più importante, ci sono comunque molti brand più piccoli... Ma per ora la fashion week rappresenta più che altro un periodo di tempo in cui i brand caricano i loro contenuti sulla piattaforma».
➡️sul senso delle presentazioni digitali: «Quando si facevano dal vivo le sfilate erano momenti fondamentalmente dedicati alla stampa e ai buyer, ora invece devono essere soprattutto un "instagrammable moment", un momento social in cui far convergere una forte amplificazione dei tuoi contenuti. Anche questo è un puro meccanismo di PR».
➡️sul tornare a fare eventi dal vivo: «Stiamo risparmiando tanto, ma penso che torneremo comunque alle sfilate. Serve quell'elettricità caratteristica di una live performance, probabilmente un video non è in grado di ricrearla (mi intrometto per ricordarvi che Tom Ford è anche un acclamato regista di due film, A Single Man e Nocturnal Animals, entrambi nominati all'Oscar). All'inizio pensavamo che la moda sarebbe cambiata, ma su molte cose torneremo indietro».
➡️sulla creatività in pandemia: «forse aveva ragione Business of Fashion quando scriveva che la moda avrebbe dovuto prendersi un anno sabbatico».
Una bella sferzata di ottimismo, diciamo 😬 Dunque, riassumendo, al contrario di molti frangenti che hanno beneficiato dallo smartworking, Ford pensa che per questo particolare (ma fondamentale) aspetto della moda tornare a poter fare le cose in presenza (creare collezioni, scattarle, mostrarle) sia l'unica soluzione per dare loro un senso.
Sul tema della ricerca dell'instagrammable moment: non solo ora rappresenta l'unica possibile modalità per rendere efficace il momento "fashion week", ma è anche una modalità incredibilmente dispendiosa. Quell'amplificazione di cui parla Tom Ford, infatti, richiede un grande investimento, non solo in termini economici: servono delle figure professionali, delle competenze, delle collaborazioni di cui la maggior parte dei brand oggi non dispone. Settimana scorsa su Clubhouse ho chiesto quali fossero le presentazioni digitali che erano rimaste impresse e alla fine si ripeteva Gucci, Gucci, Gucci: uno che non ha sfilato ma applicato il formato serie tv, si è avvalso della collaborazione di un mega-nome (Gus Van Sant) e il tutto distaccandosi completamente dalla settimana della moda. È una strada che ha funzionato, ma non è detto che debba essere la strada di tutti, mentre il ritorno al meccanismo dell'evento classico, già rodato e con varie amplificazioni (non solo Instagram, anche stampa e buyer) farà gola a molti in un momento in cui, vi ricordo, l'unico imperativo è vendere. E intanto le digital fashion week bruciano un sacco di soldi.
A parte tutto una NYFW c'è stata (più o meno) e ancora una volta mi ha colpito Collina Strada, su cui trovate una breve digressione su Instagram e il video integrale qui 👇🏻
Qui invece le selezioni di iO Donna, perché non ci facciamo mai mancare niente: i look, le borse, le scarpe e i gioielli. Ah, ve la ricordate Ella Emhoff all'inaugurazione presidenziale? È nel lookbook di Proenza Schouler.
Intanto ieri è cominciata Londra (calendario, piattaforma), martedì invece è il momento di Milano (calendario, piattaforma): ne parliamo su Instagram (e magari Clubhouse) e poi qui, sabato prossimo.
Moda da leggere
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BoF sta pubblicando su YouTube i panel del suo evento VOICES, di cui avevamo parlato a dicembre. Qui Rachel Shechtman e Ben Kaufman con un titolo piuttosto esplicativo "content is the new merchandising" 👇🏻
Moda da comprare
Dovete sapere che ogni volta che scrivo una puntata della mia rubrica sulla storia della moda poi passo ore a cercare roba d'archivio da comprare. Questa settimana la storia di Pleats Please, e qui un po' di link shopping: camicia, cardigan, pantaloni, giacca, vestito
Su MyTheresa è arrivata la nuova capsule collection di Marine Serre, Silvia l'ha intervistata su Studio
Anche io che sono la pigrizia fatta persona comincio a sognare tacchi alti, soprattutto se con account Instagram così:
Moda da studiare (e per lavorare!)
Tre annunci per laureandi: Kering cerca un Sustainabily Intern, Bottega Veneta un EMEA Wholesale intern, BCube un Junior Social Media Manager (stage curriculare)
Giovedì 25 alle 16,30 torno a scuola 🤓♥️ Nell'ambito dell'evento Front Row di Istituto Marangoni io e Mariella Milani parleremo dei trend dei prossimi mesi in fatto di abiti, strategie e informazioni, con la guida di Riccardo Rubino. Il panel è aperto a tutti, qui il link per partecipare
Moda da guardare
Se ho capito bene le 27 edizioni di Vogue dovrebbero concentrare i loro numeri di marzo sul tema della creatività. Sono andata un po' in confusione perché l'account Instagram dell'edizione americana ha pubblicato la cover del suo Issue il 4 febbraio, mentre lo stesso giorno quello dell'edizione italiana ha pubblicato quella di febbraio... comunque si vede che hanno semplicemente tempistiche diverse. Intanto quella di Vogue US è questa 👇🏻 con una protagonista davvero groundbreaking 🙈
Più interessante è - forse - il videogioco, o meglio il video di Gigi Hadid che gioca al suo videogioco prodotto da Vogue US e lanciato in concomitanza con l'uscita del numero che ha registrato 400.000 visualizzazioni su YouTube nelle 24 ore successive alla pubblicazione 👇🏻
O dovrei dire che lo è di più quello sulla guida alla skincare post-gravidanza, sempre pubblicato per promuovere il nuovo numero e arrivato a 5 milioni di visualizzazioni in due settimane?
È chiaro che non possiamo intendere qui la creatività come faceva Freud («è un tentativo di risolvere un conflitto generato da pulsioni istintive biologiche non scaricate, perciò i desideri insoddisfatti sono la forza motrice della fantasia ed alimentano i sogni notturni e quelli a occhi aperti») e temo nemmeno come Einstein («la creatività non è altro che un'intelligenza che si diverte»). Ma probabilmente risolve dei problemi - provate a contare gli inserimenti promozionali nei due video - che noi possiamo non percepire come fondamentali, ma probabilmente Condé Nast sì. Ricordate l'imperativo di prima?