#110 Quanti vestiti dovremmo avere e altri dubbi amletici
Oggi parliamo di una cosa di cui, ultimamente, la moda parla poco. Di vestiti. Perché, in effetti, a furia di campagne di comunicazione pazzesche (solo qui sotto Gucci HA HA HA, Balenciaga / adidas, ma c’è anche Marni x Uniqlo e chissà quante altre cose, considerando che siamo in settimana corta…), alla fine i vestiti sono un po’ messi da parte. Ovviamente sono l’obiettivo finale di tutti, chi vende e chi compra, ma restano lì, nell’angolo - nessuno ne parla più molto volentieri. C’è anche un tema culturale molto interessante, almeno per chi fa il mio lavoro: moltissimi editor, me compresa, hanno una preparazione che verte molto di più sul digitale, sulla comunicazione, appunto, piuttosto che sulla costruzione tecnica di un abito. Perché nelle scuole di moda il tecnico si insegna solo ai tecnici, e forse questo è un gran peccato (tanto che i ricordi più vividi dei miei 3 anni di styling sono quelli legati al corso sui tessuti e a un quaderno tipo Giovanni Muciaccia con il quale avevo imparato a distinguere i diversi jacquard e tutte queste cose qua).
Ogni volta che scrivo di vestiti qui in newsletter, la vostra risposta non si fa attendere. Così è successo con la puntata di mercoledì: mentre la scrivevo mi chiedevo, ma a chi gliene importa di sapere io come cerco di costruire il mio capsule wardrobe? Mi sono posta molti limiti nella costruzione di questo progetto, perché volevo che rimanesse un progetto giornalistico, per quanto personale e quindi con una sfumatura più intima. Però forse sono anche arrivata a un punto in cui mi dico che posso provare e al massimo va male, niente di tragico, no? Al di là delle mie paranoie, è evidente che il tema di un guardaroba solido e che rifletta la nostra personalità sia sentitissimo per molti. La nostra immagine è ovunque, più di quanto noi stessi lo siamo, riflessa su mille social, in mille modi diversi, nei tag e così via. È evidente che, oggi, per quanto un po’ noiosi, i vestiti siano importantissimi per tutti noi.
Ho raccontato più volte del mio interesse verso lo uniform dressing, che non consiste nel mettere davvero tutti i giorni la stessa cosa (o almeno, non per tutti), ma nel trovare una serie di codici di stile in cui sentirsi bene, un po’ anche rifugiarsi. Ricordo benissimo che nella prima diretta di Miuccia Prada e Raf Simons (senza dubbio il mio momento preferito della moda dell’epoca lockdown), la stilista ha raccontato di avere delle vere e proprie fisse per certi capi e accessori - parlando della gonna a pieghe che aveva indosso diceva di averne in serie e di non avere nessuna voglia di mettere nient’altro. Ecco, si tratta di questo: pensare a ciò che si indossa, ritrovarcisi dentro, sentirsi rappresentati.
Aggiungo un altro ricordo: quando ero più o meno al liceo, H&M e Zara sono letteralmente scoppiati a Milano. Non so perché ma mi è rimasta in mente una scena di mio papà che mi legge un articolo sul Corriere in cui si racconta di questo incredibile, nuovo negozio svedese che aveva appena aperto in San Babila (al posto dell’indimenticabile Fiorucci). Ecco, io una volta a settimana andavo in quell’H&M e nello Zara di corso Vittorio Emanuele e, me ne rendo conto ora, era come sfogliare un giornale. Da lì passavano le tendenze e, ogni volta che entravi, avevi la sensazione di immergerti in un nuovo stile (glam-rock! bossy! boho-chic!). Il problema sorgeva quando lo stile di turno - la tendenza, ndr - era bella che passata, volatilizzata, e tu ti ritrovavi con dei vestiti che guardavi e dicevi: ma cosa c’entrano con me?
Poi c’è stato il COVID-19, noi a casa, annoiati, che rovistiamo negli armadi. E ci malediciamo per tutte le cinture con le borchie, i peplum dress, le bluse e così via. E chi più, chi meno, ci ritroviamo con solo l’essenziale, una sensibilità nuova nei confronti dell’overconsumption e un grande punto di domanda: ora che si fa? In questi due anni e mezzo (!!!) di newsletter mi avete fatto un sacco di domande: come si trova il proprio stile? come si sta in equilibrio tra prezzi e qualità? come attualizzo abiti vecchi? Ma soprattutto: quanti vestiti devo avere? Arrivati fino a qui è chiaro che non ho una risposta netta per nessuna di queste domanda, ma anche che non mi accontento facilmente di un “dipende”. Perché uno potrebbe dire, trova i tuoi “capi chiave” (quello che, appunto, stiamo facendo nella newsletter del mercoledì) e poi vai con uno per. Però, e mi ha fatto molto sorridere, una di voi mi ha scritto, “io amo i trench. Il mio problema è che quando ne vedo uno che mi piace sbrocco, anche se so di averne già”.
La moda ci ha giudicato, sempre, molto. Tanti si sono sentiti non accolti dalla moda, è sempre sembrata loro incomprensibile e inaccessibile. Cosa che oggi, nel 2022, forse abbiamo un po’ smarcato, soprattutto grazie a quelle grandi campagne di comunicazione di cui parlavo all’inizio. E allora però anche tutto questo discorso del capsule wardrobe e del uniform dressing, che non diventi un nuovo ostacolo. Non è un compito, non c’è una risposta giusta e una sbagliata. Anzi, la risposta è giusta quando diverte, ispira, guida la creatività. Ecco perché “combatto” le liste di basici uguali per tutti: ci manca solo che la moda si riduca a un cappotto cammello, un paio di jeans neri, stivaletti a tacco medio. Il bello è che i vestiti, per quanto noiosi, sono comunque molto più divertenti di così.
PEZZI BELLI DELLA SETTIMANA
A parole loro: 37 quote di altrettanti designer sulle collezioni primavera estate 2023 (Vogue)
Non è moda (ma è un’opportunità per la moda): l’era dello streaming fa una pausa pubblicità (New York)
Il cardigan è il blazer dei più fighi (GQ)
MODA DA GUARDARE, LEGGERE E ASCOLTARE
Sono così scioccata da Heidi Klum che concordo totalmente con questa caption (Naomy Fry)
Le pubblicità, quelle fatte bene (We Are Social)
Come ha fatto Simon Porte a fare Jacquemus?
SHOPPING LIST
In caso sentiste l’esigenza di un paio di pantaloni della tuta con stivali incorporati a 3000 euro, è arrivata Balenciaga / adidas
Colpa di Sofia, finirà che mi compro i Guard Boots di UGG
When Harry met Alessandro (Gucci)
SCUOLA E LAVORO
Come ogni mese, le date dei nuovi open day e le novità in tema di borse di studio e iniziative per gli studenti
Lavorare nell’editoria di moda come visual editor, l’intervista a Francesca Marani (Talkin Pills)
Fendi cerca un digital pr, Netflix cerca un creative writing strategist - entrambi a Roma!
👋🏻 Sono Federica Salto, ho 32 anni e faccio la giornalista. La moda, il sabato mattina è nata il 2 maggio 2020 e ogni settimana propone tutto quello che vi serve sapere della moda (e anche qualcosa di più). Se non lo hai già fatto e vuoi sostenere il mio lavoro 🌹