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Sempre più spesso mi chiedo se gli argomenti a cui mi interesso siano effettivamente rilevanti per una buona parte delle persone oppure no - la questione delle bolle dell’informazione non è certo nuova ma continua ovviamente ad appassionarmi, visto che di informazione mi occupo.
Dunque oggi volevo fare qualcosa di diverso dal solito, e cioè parlare di lavoro. L’abbiamo fatto in realtà all’inizio, nello slalom tra lockdown e tentativi di ripresa che hanno caratterizzato tutto il 2020 e buona parte del 2021. E mi piacerebbe farlo con un occhio particolare sul lavoro nella moda, ma ci arriviamo. Prima di porvi qualche domanda e condividere qualche impressione volevo segnalarvi uno dei miei autori preferiti sul tema, anche se i suoi pezzi non riguardano solo il lavoro ma la vita, la gestione delle emozioni e la ricerca della felicità ed è Arthur C. Books, columnist di The Atlantic. Vi segnalo qualcuno dei miei preferiti: se vuoi il successo, insegui la felicità, come imparare a non fare nulla, come desiderare di meno. E poi altri due link a tema: come capire cosa vuoi dalla vita e per chi è adatto il quiet quitting?
Partiamo da quest’ultimo. Il quiet quitting è l’alternativa meno radicale al grand exit, fondamentalmente. Se il secondo corrisponde al mandare a quel paese la propria situazione professionale, di fatto opponendosi ai ritmi, alle condizioni e alle prospettive del lavoro contemporaneo, il secondo invece è un modo di adattarsi allo stesso imparando a prenderne le distanze e preservare le energie. Io ho avuto la fortuna di trovarmi (anzi, di mettermi) nella vita a fare quello che amo fare, per cui di partenza questi punti di vista mi sembrerebbero assurdi. Eppure, dal post pandemia in poi, spesso mi sono trovata davanti persone, soprattutto nel mio settore, che mi hanno confidato di sentirsi esaurite. Il pr manager di un grande brand del lusso due giorni fa mi ha raccontato che nel suo ufficio sono arrivati a gestire almeno tre grandi progetti di comunicazione al mese (sfilate, campagne, mostre, eventi, red carpet e così via), oltre ovviamente a tutto il lavoro che fanno per spingere il prodotto, quindi la collezione corrente con tutti i focus su it bag, collaborazioni, limited edition e così via. Altri mi hanno detto di non riuscire a conciliare il “ritmo lockdown” (quello delle call, per intenderci) con il “ritmo pre-pandemia” (i viaggi di lavoro, gli appuntamenti, i pranzi). Io stessa sono alla ricerca di un metodo perfetto per debellare le mail, nel corso di questi mesi ne ho provati diversi ma non mi sento ancora soddisfatta. Non mancherò di condividerlo con voi quando l’avrò trovato ma il senso è: possibile che uno ogni giorno debba combattere con le mail, nel senso che sono così tante che se si riesce a venirne a capo bisogna considerarla una vittoria? Non proferirò parola sui messaggi audio di lavoro 🤦🏻♀️ Ed è proprio per tutte queste riflessioni che mi sto chiedendo, è una bolla o stiamo toccando un limite?
Dunque, visto che da qualche tempo Substack offre la meravigliosa opportunità di porre dei quesiti e visto che prosegue il mio sciopero su Instagram, ecco qui, sono molto curiosa e spero anche voi. E poi sapete che sono sempre contenta se volete condividere opinioni, esperienze personali e spunti nei commenti.
COSE CARINE A CUI STO LAVORANDO
Solito round up di cose belle su Vogue: tutte le volte che Andy Warhol ha influenzato la moda, 3 regole per snellire il guardaroba, guida ai più bei negozi vintage di Milano, è il momento della gonna sopra ai pantaloni
I look più belli di sempre di Mariacarla Boscono raccontati da lei 👇🏻
PEZZI BELLI DELLA SETTIMANA
La non-etica del lavoro di Shein è ancora peggiore rispetto a quanto pensavamo (The Cut)
Come si fa un look di Haute Couture (firmato Schiaparelli) (Harper’s Bazaar)
L’UE vuole ridurre il numero di sfilate (Elle)
MODA DA GUARDARE, LEGGERE E ASCOLTARE
Le foto di celebrities di Myles Hendrik, che ora piacciono a tutti (Instagram)
Una delle mie rubriche preferite, 36 hours in Milan (New York Times Travel)
Il co-founder di Palace racconta come è nata la collaborazione con Gucci
SHOPPING LIST
L’unico look che voglio copiare questo autunno è questo
Su @profilodiamanda trovate tutti gli abiti del film, idea geniale! (Vinted)
Ma la bellezza di questa polo? (Lei è la direttrice creativa di Lacoste, una super giusta)
SCUOLA E LAVORO
Marni cerca un press office product specialist, Bottega Veneta un pr intern, Zegna uno junior pr specialist, Molotof Studio un event & content producer (hello@molotofstudio.com)
Come fare la foto perfetta per Linkedin, questo weekend ci provo (TikTok)
Li seguite i talk di Marangoni? Il 26 si parla di Moda Illustrata
👋🏻 Sono Federica Salto, ho 32 anni e faccio la giornalista. La moda, il sabato mattina è nata il 2 maggio 2020 e ogni settimana propone tutto quello che vi serve sapere della moda (e anche qualcosa di più)
#108 We ❤️ our jobs, o no?
La tua riflessione me ne suggerisce un’ altra, un po’ articolata che riguarda da una parte noi comunicatori (sia di marchi di successo e con una grande potenza di investimento, che di brand indipendenti e con a disposizione meno “leve”), e voi giornalisti che dovete recepire, elaborare e restituire ai lettori i nostri messaggi. In questo momento, secondo me, le condizioni negli ambienti lavorativi portano il pr manager (dalla descrizione che ne dai immagino sia di una marchio fra quelli che ho definito di successo) a sentirsi esaurito per la mole di lavoro da gestire e la categoria dei giornalisti a non sempre essere in grado di riuscire a smaltire mail, audio, whatsapp, direct ecc.
Il comune denominatore mi sembra lo stesso, tante sollecitazioni e informazioni e poche risorse per processarle.
Agli uffici comunicazione viene chiesto sempre più di essere multitasking e omnichannel con team ridotti, poco formati e motivati. Voi giornalisti avete sempre meno pagine, redazioni ridotte all’osso e priorità di cui non potete fare a meno e molte pressioni. Poi ci siamo noi indipendenti e “piccoli” che abbiamo pochi strumenti per riuscire a fare breccia e a catturare l’attenzione e siamo costretti a ricorrere a mail, audio, whatsapp, direct ecc.. E poiché nella maggior parte dei casi non riceviamo risposta, per poter fare il nostro lavoro, siamo costretti a mandarne altri e a ricominciare. Spesso mi sono chiesta in che modo si possa spezzare questo circolo insidioso, e non trovo risposta se non che ci vorrebbe un grande sforzo di collaborazione e ascolto da parte di tutti. Le aziende dovrebbero mettere a disposizione più risorse e dare più opportunità (lavoro flessibile, outsourcing). Gli editori andare oltre la logica del ROI per gli investitori e permettere una maggior pluralità di voci; anche chi non si può permettere di investire ha qualcosa da dire e soprattutto porta avanti progetti che sono fonte di lavoro per tante persone e per la filiera.
Ti ringrazio per aver aperto la discussione e speriamo di trovare tutti insieme risposte per poter lavorare meglio, per il bene dell’informazione e del ruolo che la stampa ancora può e deve avere.
Un caro saluto Paola Locati