Ciao a tutti, bentornati! E benvenuti ai nuovi, qui ogni settimana proviamo a fare un riassuntone di quello che è successo nella moda con varie digressioni e possibili cazzeggi collaterali.
Io ho trascorso una settimana in montagna, traendo grande godimento dal notare che esiste un universo non molto lontano in cui a nessuno frega assolutamente niente di come sei vestito (farlo dopo una fashion week, poi, regala effetto doppio). Come succede sempre quando mi allontano di un centimetro dalla moda il mio cervello si è riempito di domande a cui fatico a dare una risposta, nonostante mi occupi di questo per la gran parte delle mio tempo. Proviamo a capirci qualcosa insieme.
Quanto veramente la moda ha a che fare con le persone? Continuiamo a ripeterci che quel gran discorso sul ceruleo sia verità assoluta, che nessuno può prescindere dalla moda intesa come una serie di influenze estetiche e culturali che in qualche modo definiscono il nostro tempo attraverso i vestiti che indossiamo. Chi se lo ricorda che questo video era anche nella prima puntata della newsletter? Nostalgia canaglia 🥲
Ma è davvero così? O anche i numerosi tentativi degli ultimi anni di democratizzazione (culturale, non economica) della moda sono un’illusione che tutto ciò abbia un valore anche intellettuale, oltre che di business?
Io, con la parte più creativa della moda, ci sono cresciuta. Avevo vent’anni quando Alexander McQueen mise in scena la sfilata Plato’s Atlantis e ricordo benissimo che mio padre mi passò l’articolo del Corriere della Sera che la raccontava come la prima sfilata in streaming e come un momento topico in cui la creatività aveva calpestato ogni cosa, anche la disperazione di alcune modelle che non volevano indossare le Armadillo, scarpe impossibili che assomigliano a opere d’arte, per paura di cadere rovinosamente.
Alexander McQueen, appunto, ma anche John Galliano, Grace Goddington, Paolo Roversi, Tim Walker, Jonathan Anderson, Consuelo Castiglioni, Raf Simons, Suzanne Koller, Freja Beha Erichsen, Marc Jacobs, Alasdair McLellan, Katie Grand, Manuela Pavesi, Rodarte, Stefano Pilati, Lindsey Wixson, Stella Tennant, Josh Olins, Robbie Spencer, Dries Van Noten… Ciò che coglie la mia attenzione oggi è definito da un bagaglio culturale che è fatto di arte, di fotografia, di styling, di musica, di cinema. Ma arriva (quasi) sempre dalla moda, perché sono sempre state le sfilate, i magazine, i documentari i miei punti di partenza.
Erano comunque quindici anni fa e voi sapete bene che tutto è cambiato, nel frattempo. Innamorarsi della moda nel 2010 era un affare per pochi adolescenti che decidevano di rifugiarsi lì piuttosto che in altro microcosmo. Oggi, teoricamente, la moda è accessibile a tutti. O almeno vorrebbe esserlo. Ma cosa dovrebbe capire la me di vent’anni, o magari qualcuno tra voi, di un brand francese fondato nel 1952 che con coraggio sceglie di presentarsi al mondo con una nuova designer puntando tutto sulla sostenibilità e promettendo cambiamenti reali per poi interrompere ogni cosa dopo nemmeno tre anni? La storia di Gabriela Hearst l’avevo raccontata qui, quando, appunto, fu fatto l’annuncio del suo arrivo da Chloé. Badate bene, qui il punto non è la Hearst, brava o non brava poco interessa. Il punto è: cosa dovrebbe recepire da questa esperienza un o una giovane che si approccia alla moda e che prova a trovare in essa un tentativo di apertura verso strade diverse, più attente all’ambiente? Per la cronaca: stiamo parlando di lusso, mica di Shein, la produzione lenta dovrebbe essere già insita in quella fascia, ma sappiamo che non è così.
Come possiamo pensare che la moda abbia davvero una presa sulla vita delle persone al di là della it-bag-che-ormai-dura-un-battito-di-ciglia se siamo circondati da storie basate sul tutto e subito oppure niente, avanti il prossimo e via con il tritacarne per le idee che non funzionano già più?
Oppure le idee vere e valide sono capaci di abbattere il rumore sottostante, attraversare le mura del circolino degli addetti ai lavori e attecchire nel cervello e nel cuore di chi è pronto a recepirle?
Non ho una risposta per voi, ma se voi ne avete per me sono ben felice di sentirle. Passiamo a qualche altro argomento più veloce e poi vi lascio al vostro sabato estivo.
P.S. Quel gran genio di Marc una risposta l’ha data con la sua sfilata della durata di 2 minuti e l’innata capacità di stare in equilibrio tra l’essere un protagonista del sistema e prenderlo sostanzialmente per il culo.
P.P.S. Questa settimana ho scritto di un altro che con il sistema ci flirta ma prende anche le distanze: Stefano Pilati. Se non lo conoscete, concedetevi cinque minuti per leggere di lui e ve ne innamorerete. Proprio di lui, intendo.
Marzio Villa è l’autore delle 4 copertine del nuovo numero di D la Repubblica, che raccontano le storie di altrettanti giovani i quali, al di là del passaporto, sono già italiani.
C’è stata della polemica intorno alle sfilate di Haute Couture e a parlare sono stati direttamente i big. Giorgio Armani ha raccontato di non riconoscersi più nella settimana della moda parigina dove, a suo dire, è sempre più difficile distinguere tra alta moda e prêt-à-porter. Giancarlo Giammetti, co-fondatore di Valentino, ha ringraziato Pierpaolo Piccioli per aver reso evidente il contrasto tra la pura bellezza e le ridicole pagliacciate viste finora.
Silvia Stella ha spiegato il nuovo scandalo che vede coinvolto Shein e un gruppo di creator che hanno visitato una fabbrica del brand in Cina - peccato che sembri tutto un fake.
Mi servono tutti i poster di Ciao. Biblioteca Iperborea.
Una delle poche cose che guardo su YouTube: come sono vestite le persone in giro per il mondo. Vediamo Bed-Stuy, Brooklyn.
Una riflessione che sento molto mia, e magari qualcuno di voi la sentirà sua: il poter di dire “non lo so”.
Grandi mosse nel mondo delle PR: The Independents diventa ancora più grande.
Continuo a essere totalmente persa per questi tre (anzi, quattro!). Altro che fashion icon, sono totalmente nell’era delle family icon.
Pronto polizia, Margaret Zhang ha lanciato l’ennesima digital cover stratosferica (trovate tutta la storia qui).
È tutto per oggi, spero vi siate divertiti, noi ci sentiamo settimana prossima (ma forse anche mercoledì con qualche super link di cose in saldo, sapete che mi piace cercare 🕵🏻).
Boh... non so.... mi sembra che ormai la moda viva di eccessi che poco hanno da spartire con la gente "normale", che conduce una vita normale, che ama sì il bello, ma armonico, portabile....
Belle le sfilate, ma come esercizio artistico (e nemmeno sempre...), ma chi può indossare la maggior parte dei capi che vengono presentati? Il mondo è fatto di persone che non hanno un fisico perfetto, che non sono alte 175, che vanno a lavorare anche ad alto livello e di questo mondo chi se ne occupa?