Sabato scorso è stato per certi versi un sabato uguale a tanti altri. Io e Nathan ci siamo svegliati presto, come sempre. Json si era svegliato ancora prima per lavoro e a quel punto era già uscito. Con calma abbiamo fatto colazione e ci siamo vestiti, attività che possono allungarsi terribilmente quando uno dei due non ha ancora compiuto il secondo anno di età. Siamo usciti, lui comodo sul passeggino e io armata di occhiali da sole e mollettone in testa. L’idea era di incontrare i miei genitori per un caffè, ma abitano vicino ed era ancora praticamente l’alba, quindi abbiamo intrapreso il giro largo con l’idea di passare per edicola, farmacia, supermercato (piccolo supermercato). Il solito sabato mattina. Entrata in edicola ho trovato la parete mezza vuota e ho guardato confusa il proprietario. Lui ha alzato le mani e ha detto «non li vendo più i giornali, solo tabacchi!». Non ho avuto la prontezza di porre l’unica domanda che andava posta: «e perché?». Forse conoscevo la risposta e non volevo sentirla pronunciare ad alta voce. Ho girato le Birkenstock e il passeggino e sono uscita senza dire una parola. Abbiamo oltrepassato farmacia e supermercato, anche il bar, e siamo andati lì, nell’unico posto in cui la mia mente si distende, verso i campi della mia amata e odiata pianura padana, sempre uguale fino in fondo all’orizzonte, continuamente piatta, mai un’emozione improvvisa, un saliscendi.
Nonostante quella sia l’edicola che ho frequentato di più nella mia vita, non è la mia edicola. Lo è stata forse un po’ di più fino a qualche anno fa, fino alla pensione degli ex proprietari, i signori Domenico e Irene che guardavano storti me e i miei amici quando, sedicenni, compravamo le sigarette. Poi è entrata una gestione più fredda, quella corrente, due ragazzi a cui evidentemente interessa di più il commercio delle Iqos che la selezione delle riviste. Due con un minimo di senso del business, ecco. Da sempre comunque è stata un’edicola generalista, buona per i quotidiani e per Vogue, ogni tanto, quando saltavo la tappa weekendiana in un luogo invece mitico, le Messaggerie Musicali. Con il suo spazio sulla sinistra lungo e stretto, con gli espositori ai lati e i grandi tavoli al centro, era per me una specie di Mecca. La sua chiusura sì, che è stato un mezzo lutto. La mia vera edicola, poi, è un’altra ancora, un negozio anche quello lungo e stretto ma inerpicato in cima a una salita che percorrevo con i nonni nel piccolo ma oggi tristemente famoso comune di Nembro, dove ho passato le estati quando la parola Covid era lontanissima dai nostri vocabolari. Quell’edicola poteva anche essere stretta, ma era piena zeppa di giornali e giornalini imperdibili, almeno nei ricordi della me bambina.
Girovagando per le stradine nell’attesa di un orario più convenevole per presentarmi a quella che è diventata nel gergo familiare “la casa dei nonni”, la mia mente tornava all’immagine degli espositori mezzi vuoti, con le rimanenze dalle copertine ormai vecchie (che poi chi altro se ne accorge, se non chi ci lavora?) buttate in un angolo, senza alcuna speranza che possano più trovare una casa. Che oggetto strano il giornale. Almeno il quotidiano è fatto di carta povera, anche se nessuno certo la utilizza più per impacchettarci la schiscia. La rivista, invece, è patinata, attraente, sberluccicante. Eppure la sua vita è una condanna, schiava del tempo e dell’attualità. Ho conservato più riviste di quante ne abbia buttate in questi 33 anni, ma non sono invecchiate bene. La carta soffre il tempo, si contrae su se stessa. A volte apro un vecchio numero, trovo una foto di Tim Walker e mi accorgo di quanto quella continui ad emozionarmi, eppure tutto intorno è invecchiato male, font, grafica, anche i vestiti sono tremendamente datati. Poi, il momento del caffè è arrivato e l’edicola è finita in fondo ai miei pensieri.
Avanti veloce a mercoledì, orario di pranzo, villa reale Marlia, zona Lucca, uno di quei posti che non ci credi finché non li vedi, e che ho il grande privilegio di frequentare per lavoro. Sono seduta a tavola con i colleghi degli altri giornali, loro scherzano su cosa ruberò dalle loro conversazioni per la newsletter, io ci penso seriamente. Sono sempre stata affascinata dalle grandi storie dell’editoria, quindi appena si parte con l’argomento tendo le antenne. I giornali e chi li fa sono fenici, muoiono e risorgono dalle proprie ceneri. Tutto cambia, niente cambia. Forse se avessi lavorato nell’industria farmaceutica avrei passato un sacco di tempo a pensare alle dinamiche dell’industria farmaceutica. Forse, insomma, sono io che sono fatta così. Ma l’editoria continua a sembrarmi tremendamente affascinante, anche oggi che la mia edicola non vende più i giornali. Le sue storie hanno la S maiuscola: ci sono le famiglie, le scalate, i fallimenti - un po’ alla Succession, giusto per citarlo per il terzo sabato di fila, e lunedì ci aspetta il gran finale. Bizzarro, il giornale arricchisce chiunque ne sia coinvolto, chi lo pubblica (in termini di potere), chi lo scrive (di influenza), chi lo legge (di cultura). Eppure, non è mai stato così povero.
Planiamo sull’argomento più gettonato tra addetti ai lavori: le marchette. Detesto questo termine, che in senso figurato ha acquisito il significato dispregiativo di “lavoro non impegnativo fatto per compiacere qualcuno o per ottenere un minimo guadagno”, dice Wikipedia. Lo detesto perché capisco che per molti ormai il giornale di moda sia, semplicemente, il contenitore delle marchette. Spesso hanno ragione. Da anni i marchi sono diventati i primi fornitori di contenuti, mettendo a disposizione dei giornali persone, progetti, idee e aspettandosi che questi vengano raccontati. Spesso bisogna farseli andare bene, ma è anche vero che sono tanti, di varia natura e qualità. E quindi bisogna soprattutto sforzarsi nel cercare, selezionare, approfondire, tagliare, raccontare. Capita anche che siano semplicemente non interessanti o non in linea, e allora bisogna trovare la forza di mediare, di dire “no”. Quando ci si arrende, ci si lascia andare, tutto diventa marchetta. Molto tempo fa, quando con i miei amici andavo a comprare le sigarette in quella famosa edicola, mentre sfogliavo un mensile uno di loro mi chiese: “ma perché guardi un giornale fatto solo di pubblicità?”. Io devo aver reagito al mio solito modo, girando le Birkenstock e proseguendo per la mia strada.
Nel mio IG trovate una guida alle edicole e alle librerie con selezione moda di Milano.
A proposito di mollettoni, quelli di SALT&WAVE sono parecchio carini.
L’hype per il film di Barbie sta crescendo parecchio. C’è un nuovo trailer e una nuova copertina 👇🏻
Aubrey Plaza (quella di The White Lotus 2) è la nuova testimonial di Loewe, Scarlett Johansson di Prada e io sono contenta.
Il calendario delle sfilate Resort prosegue, nonostante la pioggia. Questa settimana abbiamo visto: Dior, Louis Vuitton, Alberta Ferretti.
Non c’entra niente con la moda ma mi è piaciuto tanto e quindi ve lo consiglio: Le otto montagne, su Sky e NOW TV. Prima, però, leggere il libro (di Paolo Cognetti, premio Strega 2017). Ora leggo anche Il ragazzo selvatico.
Prada cerca un web & digital content specialist, Mytheresa uno stylist e uno stagista, Moncler un digital media specialist.
Tina Turner ha inventato il power dressing.
Setchu, Marcello Pipitone, Pasqualetti, Florania: chi sono i quattro designer che hanno vinto il CNMI Fashion Trust Grant 2023.
Oggi finiamo qui, non mi resta che salutarvi con due nuove amiche, le ho trovate in Toscana 🫶🏻
Ciao Federica, anche per me, da grandissima divoratrice di riviste straniere la chiusura di Messaggerie fu un trauma! Sono un pochino più grande di te e sono cresciuta con I-D, The Face, Vogue US e altri. Negli ultimi anni però ho smesso di leggere riviste: trovo che siano tutte uguali, non c'è più ricerca ne' voglia di tirare fuori articoli o editoriali interessanti. Tutto mi sembra una copia di qualcosa di già visto. Ho la sensazione che si preferisca il gossip o la celebrity alla cultura. Ogni tanto trovo delle piccole riviste indipendenti belle ma i prodotti da edicola non riesco più a leggerli. Forse sono io che sono invecchiata :-). Grazie per questo bello spunto di riflessione e goditi le tue camminate con passeggino e Birkenstock!
Fede! una delle puntate più belle da quando ti leggo. Continua a girare le Birkenstock dove vuoi, la direzione è giusta