Ricevi questa newsletter perché sei iscritto a La moda, il sabato mattina di Federica Salto. Pitch Perfect è uno spin-off che ospita la nuove firme del giornalismo di moda e oggi è stato scritto da Priscilla Lucifora che si racconta così: siciliana a Milano, classe 1994. Formazione umanistica e una grande fascinazione per moda, cultura pop e costume. Il suo film preferito è Matrix. Grande fan di tutto ciò che è contemporaneo.
Nonne e minigonne
É l’autunno del 1972. Santa ha 22 anni e una figlia di 14 mesi, Luisa. Presto inizierà il suo lavoro alla scuola elementare del comune di Giarratana, provincia di Ragusa, 3.491 abitanti nel 1971. Giarratana è il suo paese. Ci è nata e ci vive anche dopo la “fuitina" con l’adesso marito, il calciatore veneto Salvatore. Il padre si è opposto, ma i due giovani hanno deciso di scappare insieme, con la complicità di un paesano loro amico. Si sono sposati a Mestre, da soli o quasi. Hanno aspettato che si calmassero le acque e poi sono tornati a Giarratana.
Santa è la figlia maggiore di una casalinga e di un impiegato del Comune. Sta bene ed è abituata ad avere tutto quello che chiede, o quasi. Non manca in lei una spinta un po’ ribelle, che la porta a sfidare i compaesani. Come? Indossando la minigonna e sedendosi al bar con le amiche.
La minigonna in esame, l’unica nel suo guardaroba, è di tessuto pesante, a righe verde chiaro e verde scuro. Sopra le ginocchia di un palmo. La indossa con un maglioncino bianco a collo alto, calze marroni, scarpe di velluto rosso scuro, quasi violaceo. I capelli sono neri e sciolti, la riga leggermente di lato. A sua detta, Santa fu la prima ragazza a indossarla, a Giarratana nell’autunno del 1972. Per andare al Bar Australia a sedersi come i maschi, non soltanto a prendere un caffè al bancone, magari anche a gambe incrociate. Per sfidarli, lanciare un messaggio. Una ribellione quieta ma possibile, allegra e propositiva, che non le ha evitato qualche battuta di spirito per strada con sua figlia, soprattutto dagli uomini. Lei non voleva altro che dimostrare che l’apparenza non conta, che una ragazza non è leggera solo perché scopre le gambe.
I movimenti della moda sono interessanti e sono influenzati, tra le altre centinaia di variabili, da area geografica, ceto sociale, genere, cultura e abitudini. Nella seconda metà del Novecento, ad accelerazioni fortissime nei grossi centri urbani - stava nascendo il prêt-à-porter, e la moda diventava industriale -, si affiancava il lento e spesso faticoso avanzare dei paesi di provincia. La minigonna, inventata nel 1962, arrivava a Giarratana ben 10 anni dopo. Tempistiche che oggi suonano assurde. Lo aveva fatto, tra l’altro, non senza qualche perplessità e decisamente non con la forza positivamente distruttiva con cui aveva travolto Londra.
Mary Quant si sarebbe mai aspettata di cambiare sottilmente ma inesorabilmente le dinamiche e le abitudini di un paesino della provincia di Ragusa, quando ideò la minigonna? O cercava solo di dare un’estetica alla giovinezza nuova e dirompente che si imponeva nelle strade della capitale del Regno Unito, allora in pieno fermento? Cercare una risposta è divertente, ma non è fondamentale. Il capo, una volta in circolazione, si slega dal sistema per cui è stato creato, supera i confini nazionali e diventa uno strumento polimorfo. É la sua forza.
Nella vicenda personale di Santa, però, c’è anche altro. Lei, come già accennato, fresca di matrimonio e con una bambina piccola, poteva permettersi di non lavorare, almeno per un po’. Al marito che lei indossasse la minigonna non interessava per nulla, non ne era disturbato. E il padre? Il suo parere non importava, ormai lei era sposata, fuori dal nucleo familiare originale. Santa si occupava della bambina, andava a trovare i genitori, usciva con le amiche, andava in campeggio, sedeva al bar, aveva una grande passione per il make-up.
Per molte altre donne non fu così facile, o semplicemente fu diverso. Caterina, per esempio, nel 1972 era sposata già da 5 anni. Classe 1938, lei e il marito Giovanni avevano 3 figli piccoli. Si era appena trasferita con la famiglia da Caccamo (PA) a San Giacomo, frazione di Modica. L’intento era quello di portare avanti un’azienda agricola, di mungere le vacche e di venderne il latte, di essere quasi autosufficienti, nella loro casa con stalla e silos nel bel mezzo del nulla, che quando arrivarono non aveva neanche la corrente elettrica. Caterina faceva tutto in casa. Badava alle galline, impastava il pane, faceva le salsicce, mandava i figli a scuola. La minigonna non era un motivo di discussione, non esisteva nemmeno. Portava, invece, e vi era costretta dai lavori manuali, con gli animali e nei campi, i pantaloni. Non c’era intento rivoluzionario, in lei, neanche giocoso. Aveva altro a cui pensare, altre urgenze. Non per questo, però, il suo portare i pantaloni per lavorare aveva qualcosa di meno significativo, anzi.
Santa e Caterina non lo sapevano, ma vivevano a circa 15 chilometri di distanza. Venti chilometri che - nel 1972 - erano importanti, addirittura decisivi. Così come erano decisivi il loro ceto sociale, la famiglia in cui erano cresciute, i lavori dei genitori e dei mariti, il loro anno di nascita. 15 chilometri bastano a distinguere tra campagna e città, tra la rivoluzione cercata della minigonna e la rivoluzione pratica e un po’ soprappensiero dei pantaloni. Due universi vicini ma lontanissimi, racchiusi in due capi di abbigliamento.
Nonne e minigonne
Bellissimo e interessante!
articolo molto coinvolgente! brava! mi è dispiaciuto quando sono arrivata all'ultima parola!
e complimenti a Federica e all'opportunità concreta che dà ai giovani!