La moda, la domenica mattina. Emozionarsi
Chi mi segue su Instagram sa che venerdì pomeriggio sono arrivata a Roma per la sfilata di Valentino, mi sono piazzata in camera di albergo pensando di mettere a punto la newsletter imbastire l’articolo per il giorno dopo. Invece il mio computer ha deciso di abbandonarmi. Dopo un momento di panico ho capito che potevo organizzarmi in qualche modo per scrivere dello show dal cellulare, in treno sulla via di ritorno, e che la newsletter poteva arrivare di domenica mattina - anzi, ogni tanto fa bene cambiare! Dunque, eccoci qua, buona domenica mattina ☕
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Una discussione dalla quale solitamente mi tengo alla larga volentieri è quella sulla critica di moda. I motivi sono due. Il primo è che penso che sia un tema molto caro agli addetti ai lavori che, giustamente, analizzano i cambiamenti della loro professione, ma non così tanto ai lettori che, altrettanto giustamente, sono più interessati al contenuto stesso, piuttosto che al modo in cui esso è costruito. Il secondo è che le mie aspirazioni professionali non sono mai state particolarmente verso la critica, piuttosto verso un giornalismo incentrato sul racconto dei fatti e sul famoso “unire i puntini” che resta la mia passione numero uno. Poi capita di scrivere di una singola collezione, di un evento e di una sfilata, quindi le cose non sono sempre così nettamente differenziate.
E dato che sono reduce dalla prima sfilata di Haute Couture della mia vita e, in generale, da qualche settimana di ritorno al sistema moda pre-pandemia (settimana della moda, destination shows, eccetera) mi sembrava un buon momento per fare una riflessione sull’argomento. Proprio ieri Silvia Schirinzi mi segnalava un interessante thread di Bryanboy in cui il blogger sostiene che la collezione couture di Chanel non possa essere giudicata da chi non l’ha vista dal vivo, non conosce il prodotto né i clienti del brand. In parte è un punto interessante, perché spesso chi critica Chanel dal punto di vista dello stile, inveendo contro la mancanza di innovazione stilistica, si dimentica che la sua clientela continua ad apprezzare e comprare gli stessi prodotti, permettendo tra l’altro al brand di aumentare ripetutamente il costo della sua borsa più famosa, la 2.55. Dall’altra ovviamente è difficile dare rilevanza a Bryanboy sull’argomento, perché chi lo conosce un po’ sa che è grande fan della maison, nonché cliente e invitato a tutti gli eventi. Dunque, chi ha ragione? I fashion commentators che prendono in giro i look delle star in Chanel o Bryanboy che ha un naturale interesse nel difendere la maison? E i giornalisti tradizionali da che parte stanno? Ma, soprattutto, può esserci un’oggettività in questa conversazione?
Ormai mi conoscete - sapete già che la mia risposta è no. E come potrei dirvi che questo sistema può e deve basarsi sull’oggettività dopo aver assistito a una sfilata come quella di Valentino ieri sera? Su Vogue ho scritto “l’haute couture di Pierpaolo Piccioli va dritta al cuore”. È davvero così per me. E, a giudicare dai tanti visi commossi, lo è anche per molti degli invitati che avevo intorno - nel finale di sfilata Anna Wintour si è alzata per prima per applaudire, mentre il direttore creativo abbracciava Giancarlo Giammetti, amico, compagno e socio di Valentino Garavani). Ho ricevuto decine di DM su Instagram mentre postavo: “è stato fantastico, io da casa devo ancora riprendermi, non oso immaginare come sia stato dal vivo” e altre cose così. E poi ritrovare i vecchi e nuovi amici sparsi per le altre redazioni, attraversare Roma attraversata di notte in Vespa, assistere alla magnificenza delle terme di Caracalla, ballare con Pierpaolo e Naomi in consolle… Un’esperienza, per quanto fatta per lavoro, è sempre umana. E forse, in questo caso, il ruolo migliore possibile di chi fa i giornali è quello di fornire accesso, informazioni, strati e riflessioni, come abbiamo provato a fare raccontandovi del primo abito visto in passerella, risignificazione del modello “Fiesta” creato da Garavani nel 1959, anche attraverso le foto di Marzio Emilio Villa, che era piazzato in cima a Trinità dei Monti per offrire uno sguardo diverso su quel momento magico.
Se l’imparzialità non è forse possibile in questo sistema, la ricerca continua di storie, offerte in maniera generosa e digital-friendly, invece, è più che mai necessaria.
COSE CARINE A CUI STO LAVORANDO
Quattro chiacchiere con Ramona Tabita sul ritorno di Ghali, con uno stile più urban - e più figo (Vogue)
E altrettante chiacchiere con Victoria Genzini, pazzissima e divertentissima ideatrice di Sapore di Mare (Vogue)
E dunque è uscita la prima puntata di Gente della moda, il podcast di Giulia a cui ho collaborato per la stesura dei testi: professione stilista (Storytel)
PEZZI BELLI DELLA SETTIMANA
Ed ecco perché siamo tornati a un milione di sfilate ed eventi dal vivo (BoF)
Riassuntone del senso della review, thanks to Rachel Tashjian (Harper’s Bazaar)
Ma anche Cathy Horyn su Balenciaga (The Cut)
MODA DA GUARDARE, LEGGERE E ASCOLTARE
Harper’s Bazaar arriva in Italia anche in versione print (Primaonline)
Non solo al V&A di Londra è ancora in corso la mostra Fashioning Masculinities, ma è anche appena iniziata Africa Fashion - due ottime ragioni per organizzare una visita (V&A Museum)
La nostra amica Justine Leconte fa il punto su tutto quello che si è detto a proposito dell’abito di Marilyn indossato da Kim al Met Gala
SCUOLA E LAVORO
Trussardi cerca un social media manager e un art director, MyTheresa uno studio coordinator
Il lavoro in ufficio è una tecnologia del secolo scorso? (The Atlantic)
Ma anche, come si legge una busta paga? (Grano)
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