#22 Poco ma buono
Preparare questa puntata (si dice così?) è stato un po' più complicato del solito. La fine delle sfilate - di cui ho letto, scritto, previsto, guardato, scritto di nuovo, per mesi ormai - ha messo un punto alla prima reazione del settore moda all'emergenza COVID-19. Subito dopo l'allerta in Italia è salita e ora siamo di nuovo in una situazione di incertezza, tanto che i negozi hanno già registrato una significativa diminuzione degli ingressi giornalieri.
Cosa succede ora che le fashion week sono andate, ma il virus no? Non lo so, ovviamente, ma tutto questo mi ha fatto riflettere su un aspetto di cui ho già accennato altre volte. Oggi proviamo a metterlo in fila. Per contestualizzare e approfondire storicamente l'argomento, consiglio questo pezzo dello scorso giugno di Vanessa Friedman e quello di Serena Tibaldi che ho potuto recuperare grazie all'aiuto di Matteo 💙 Quindi, la domanda è: come cambierà il nostro modo di vestirci in base al momento che stiamo vivendo?
Si è parlato di leisurewear, con infiniti flussi di considerazioni su quello che indossiamo quando nessuno ci guarda. Dopo aver passato due mesi in casa molti di noi hanno continuato a lavorare da remoto sviluppando un gusto ben preciso in fatto di tute, calze, ecc e ora, beh, la cosa più probabile è che passeremo molte sere sul divano, sempre in tuta. Poi siamo passati al workleisure, perché non vogliamo tornare ai vecchi codici d'abbigliamento dell'ufficio. Poi ancora, le spalline: poche o troppe in passerella (le più belle e significative, quelle di Balmain), per una certa generazione sono ancora un simbolo, ed è quindi probabile che le rivedremo.
Ma la cosa più importante che è emersa nel dialogo - su tutti i piani, se ne parla tra amici, sui social, sui media - è che l'emergenza ha cambiato il nostro approccio nei confronti dell'atto del comprare. Non è una linea retta, ci sono casi di e-commerce che hanno fatto il boom delle vendite e questo ovviamente fa bene all'industria, ma il "comprare meno, comprare meglio" sta entrando nelle nostre teste. Ne ho parlato a lungo con Silvia, prima in chat durante il lockdown e poi davanti a svariati caffè (a breve torniamo anche su Instagram!), e siamo d'accordo: il processo verso la consapevolezza di quanti vestiti effettivamente abbia senso avere nel proprio armadio è importante tanto quanto la conoscenza delle materie e delle lavorazioni che danno vita a quegli stessi vestiti. E ne ho parlato anche con Giulia, la cui crescita di visibilità mi sembra significativa in questo senso. Il suo stile è personalissimo, da studentessa di Fashion Archives e appassionata di vintage, assolutamente lontano dagli standard della mega influencer di moda eppure a mio avviso più interessante. Soprattutto perché è costruito attraverso pochi vestiti (le stories di qualche giorno fa in cui mostrava il suo guardaroba, composto da solo due relle hanno generato un sacco di domande negli ormai imprescindibili Q&A).
@giulialdp
Giulia mi ha raccontato che per lei il concetto di "uniforme" (remember? Ne abbiamo già parlato qui) è sempre stato naturale, perché vestirsi allo stesso modo la fa sentire a suo agio: ha il suo paio di pantaloni preferito (di Max Mara) in diversi colori, lo abbina spesso ai dolcevita e agli orecchini, quasi tutti vintage. Negli anni ha comprato qualche pezzone moda di seconda mano ma alla fine sono quelli che indossa meno. Ovviamente il tema della sostenibilità con il tempo non ha fatto altro che rafforzare questo suo approccio al vestire, tanto da farla imporre in un mondo - Instagram - dove il continuare a postare contenuti diversi (e vestiti diversi) è considerato un valore. Per ora.
Decisamente meno sofisticato, ma comunque interessante è il profilo @project333 di Courtney Carver, queen of decluttering (ma mai come la nostra queen of decluttering). Raccoglie le foto di chi ha accettato la sfida di Carver: provare a restringere il proprio guardaroba a 33 pezzi a stagione, tra capi e accessori. Si chiama capsule wardrobe e ne parla anche Ross nel suo libro sull'armocromia (aspettando il secondo!) ed è un modo leggero per affrontare un argomento che ci riguarda tutti. Tornado a proejct33, non mi è chiarissimo se per stagione intenda l'autunno o l'autunno/inverno - e c'è differenza - ma ora chiudo qui e vado a provare con il mio armadio. Poi vi dico com'è andata.
Una cosa di servizio, anche se su Instagram abbiamo già fatto il pieno: il weekend scorso alla fine ho guardato tutto Emily in Paris, ecco un paio di pensierini.
Pezzi belli di questa settimana
Le sfilate primavera estate 2021 in numeri
Guardare We Are Who We Are, la nuova serie di Luca Guadagnino, mi ha fatto voglia di rivedere anche Euphora. Una dei motivi per cui l'avevo amata moltissimo è il make up, qui l'intervista a Doniella Davy
Lunedì il Fashion Pact ha pubblicato il suo primo aggiornamento, qui tutti i dettagli
Moda da leggere, vedere e ascoltare
Sabato 24 e domenica 25 torna ApritiModa, il progetto che permette di visitare le aziende di moda e conoscerle un po' più da vicino
Andrea Batilla ha intervistato Marco Rambaldi
Suzy Menkes ha intervistato Bruno Pavlosky, Presidente moda di Chanel, nella nuova puntata del suo podcast
Moda da comprare (*affiliazione)
La Belt Tote di JW Anderson ora è in canvas riciclato
Cose per cui farei volentieri un'eccezione al mio capsule wardrobe: vestito* di Cecilie Bahnsen, cardigan* di Ganni, orecchini* di Erdem, camicia* di Rejina Pyo
Giovedì esce la capsule collection di The Vampire's Wife - il marchio di Susie e Nick Cave - X H&M, ci sono un sacco di abitini dark e romantici e dei bijoux con occhi, cuori e coccinelle
Moda da guardare
Questa cosa dei tribute account è davvero super, oggi nel menù c'è @datewithversace.
Scuole e lavoro
Non c'entra niente con la moda, ma in tempi come questi mi sembra utile linkare questo pezzo di Cristiana Bedei.