#3 Chi salva i piccoli?
"Anche se non esiste una soluzione semplice per il nostro settore, che è stato colpito così duramente, credo che questo sia un passo importante nella giusta direzione". È bella soddisfatta Anna Wintour nell'annunciare un colpaccio che dimostra che le chiacchiere contano poco e che nonostante Condé Nast stia andando a rotoli il suo spazio di manovra è ancora molto ampio. Amazon ha annunciato l'apertura di "Common Threads: Vogue x Amazon Fashion", un nuovo store con 20 nomi di brand americani emergenti (e in evidente difficoltà a causa della pandemia), realizzato in collaborazione con Vogue e con il CFDA.
Ci trovate dei marchi non particolarmente rilevanti (e questo riflette la crisi della moda americana in generale) ma carini, come Brock Collection, Rebecca de Ravenel, 3.1 Philip Lim e Hunting Season. Certo, non è comprare tra le meravigliose pagine di Net-a-Porter o Matches, ma sono sicura che se la cosa dovesse rivelarsi fruttuosa Bezos non ci metterebbe molto a dare una rinfrescata alle varie landing page.
Riassunto delle puntate precedenti: l'ipotesi era circolata parecchio nelle scorse settimane, proprio nella cornice degli aiuti messi sul tavolo per i marchi emergenti. Pur essendo il rivenditore più grande al mondo, Amazon non è mai veramente piaciuto agli snob della moda e ha provato diverse strade per ricavarsi una fetta del mercato del lusso (ultimo in ordine cronologico, il reality game Making The Cut con Heidi Klum e Tim Gunn disponibile su Amazon Prime Video).
Qui Haute Le Mode demolisce Making The Cut
Ora però Amazon arriva in soccorso dei giovani designer, particolarmente colpiti dalle conseguenze della diffusione del COVID-19. Infatti, se i grandi brand e retailer cercano la soluzione per i loro affari nel ristabilire il giusto corso delle stagioni (qui lo spiegone su #rewiringfashion), per i piccoli si tratta più di una questione di sopravvivenza.
Nelle ultime settimane ho chiacchierato con i nostri emergenti - Marco Rambaldi, Martina Grasselli di Coliac, Sabrina Mandelli di Ssheena, Flavia La Rocca, Gilberto Calzolari, Luca Lin e Galib Gassanoff di Act N.1 e Vincenzo Palazzo di Vìen - per un pezzo che trovate nel numero di iO Donna in edicola oggi (e anche qui, però un giornale di carta ogni tanto lo potreste comprare). Ne è venuto fuori che quello che manca davvero è il tempo di dedicarsi alla ricerca e al disegno.
Scegliere di crearsi il proprio brand oggi vuol dire impegnarsi per fare più l'imprenditore che il designer: i famosi ritmi pressanti della produzione - è ancora tutto da provare che questa crisi porterà a un effettivo rallentamento -, la burocrazia e non meno importante la produzione di contenuti per i social spesso sono compiti affrontati in prima persona, perché non si hanno abbastanza soldi per circondarsi di un vero e proprio team. I soldi che si guadagnano all'inizio servono per rientrare nelle spese dell'investimento iniziale e, poi, negli anticipi per tessuti e altri materiali di produzione (dai quali non si sfugge anche negli anni a venire). È evidente che qualsiasi marchio emergente, anche il più virtuoso, ha bisogno di un supporto economico e finanziario.
Lo sa bene il British Fashion Council che questa settimana ha annunciato di aver già distribuito il primo milione di sterline raccolto attraverso il Bfc Foundation fashion fund tra 37 piccole aziende, tra cui Alighieri, Craig Green, Rejina Pyo e Richard Quinn. E che punta a raccogliere altri 50 milioni entro la fine del 2020.
I gioielli di Alighieri
In Gran Bretagna non ci sono molti stilisti senior come da noi e, anche per un fattore culturale, i brand emergenti e sperimentali ricoprono un ruolo molto più importante, tanto che tutti gli editor vanno alle loro sfilate e inseriscono i loro capi nei servizi moda.
In Italia, invece, il calendario della fashion week è fitto di grandi nomi oltre che di brand medi che rappresentano la grande fetta di inserzionisti dei giornali. Questo fa sì che un direttore moda, quello che poi decide veramente a chi dare spazio e a chi no, riesce a malapena ad andare a vedere gli show di Marco De Vincenzo o di Gabriele Colangelo: nomi ancora troppo poco conosciuti e che invece dovrebbero essere trattati come i protagonisti della scena contemporanea. Ora la pandemia ha sconvolto tutti i calendari e le carte potrebbero essere rimescolate in quest'ottica.
Marco De Vincenzo SS20
Gabriele Colangelo SS20
Pezzi belli di questa settimana
Patagonia è stato il primo a chiudere negli Stati Uniti e, probabilmente sarà l'ultimo a riaprire. Ecco perché
La storia dello streetwear (sì, l'ho scritto io)
L'intervista alla direttrice della fotografia del New York Magazine, Jody Quon (se amate il New York come me, questo è il libro da avere)
Moda da vedere e da ascoltare
Gucci ha inaugurato la mostra No Space, Just a Place. Eterotopia al museo Daleim a Seoul, curata da Myriam Ben Salah. Il tema è l'esplorazione dello spazio e la curatrice l'ha raccontato così «I social media e le comunicazioni veloci ci inducono a pensare che ciascuno di noi possa essere in qualunque posto, in qualsiasi momento (almeno nel mondo che conoscevamo fino a poco tempo fa). Questa potenziale ubiquità compromette la capacità di pensare fuori dagli schemi, in quanto incoraggia una forma di omologazione. Uno spazio utopico metaforico, ovvero uno spazio altro, separato da tutti gli altri spazi che conosciamo, è necessario se vogliamo davvero creare nuovi pensieri, nuove relazioni tra gli esseri umani e la terra». Qui il tour virtuale ⬇
C'è un giro di buyer che rivende prodotti su Instagram (illegalmente)
Vale la pena recuperare la puntata di Inside Vogue Italia con Federico Marchetti
Domenica alle 18 workshop di bouquet floreali con Simone Rocha e Ruby Barber, sull'account di Moncler
Moda da comprare
I costumi di Lido sono stupendi
Su The Outnet ci sono un sacco di cose belle in saldo
20 borse anni '70 selezionate dalla bravissima Martina D'Amelio
Se dovesse venirvi voglia di Baguette
Moda da guardare
Uno dei miei fotografi di moda (contemporanei) preferiti è Ben Toms. Come ogni fotografo di moda (contemporaneo) non è particolarmente attivo su Instagram, ma vi consiglio comunque di dare un'occhiata al suo profilo. Qui sotto, uno dei suoi ultimi progetti per Simone Rocha disponibile anche in edizione limitata da Dover Street Market, a Londra (quando riaprirà).
Chi si ricorda di Polyvore? Il sito permetteva di comporre i propri look con gli still life degli e-commerce, anche in modo molto creativo. Dopo 11 anni, nel 2018 è stato chiuso dal retailer che l'aveva acquistato, SSense (perché!?). Improvvisamente ci siamo sentite nostalgiche, e siamo andate di collage. Purtroppo non ho salvato i miei meravigliosi moodboard prima che il sito chiudesse, ma l'account è ancora attivo.