#61 Leandra, basta
Mi ci è voluto qualche giorno di decompressione prima di affrontare la lunga e faticosa intervista a Leandra Medine, nell’ultima puntata del podcast The Cutting Room Floor di Recho Omandi. Se l’avete già ascoltata sapete di cosa parlo, altrimenti la trovate qui.
Perché ne parliamo. L’espressione “cancel culture” mi provoca l’orticaria, e forse anche a voi. Probabilmente perché ci appartiene solo in parte, come aveva spiegato bene Silvia Schirinzi, ma questo non significa che ne siamo completamente estranei. Leandra è stata cancellata un anno fa (ma non sarà per sempre), ora rischia anche Recho: proviamo a tirare le fila di questa storia.
Leandra, chi? Leandra Medine è nata a New York nel 1988 da papà turco e mamma iraniana, di religione ebreo-ortodossa. Nel 2010 ha aperto un blog, come alcuni altri ragazzi e ragazze aspiranti nuovi volti e voci della moda, tra cui Chiara Ferragni e Brian Boy. Il suo si chiama(va) Man Repeller, totalmente newyorkese, anzi, totalmente uptown New York, ma anche decisamente fresco rispetto al panorama. Sono passati solo 11 anni dalle foto degli outfit fai-da-te, dai post in modalità flusso di coscienza sullo styling e dalle conversazioni sul vestire per se stessi invece che per gli altri, eppure sembra un’eternità. Ho citato Chiara e Brian perché, un decennio dopo, possiamo dire che, di tutta quell’ondata, solo loro tre hanno davvero lasciato un segno nel settore e con risultati nettamente differenti. Nel tempo Man Repeller è cresciuto, diventando un vero e proprio progetto editoriale e facendo quello che i femminili non riuscivano a fare, evidentemente: parlare alle nuove generazioni. Nel frattempo, però, il blog riusciva anche a richiamare l’attenzione dei grandi brand, un po’ perché questi sono sempre naturalmente attratti dalle giovani ragazze benestanti che possono fare loro pubblicità, un po’ perché già da tempo cercano media alternativi su cui investire.
La fine. Poi, a giugno 2020, il casino. In risposta all’omicidio di George Floyd, Leandra pubblica sul blog una open letter che scatena una reazione feroce da parte dei suoi lettori e anche di alcuni ex dipendenti, tra cui Sabrina Santiago. Quest’ultima scrive: «come ex dipendente POC che è stato licenziato durante l’emergenza COVID-19, queste “scuse” sono uno schiaffo in faccia, onestamente vergognose. Non sono stata contattata in nessun modo. Spero che tutti vedano che questo è un altro tentativo performativo per coprire azioni razziste». Altri dipendenti parlano in forma anonima di un ambiente tossico e non inclusivo. Tutto questo porta in pochi giorni al ritiro di Leandra dalla guida di Man Repeller, annunciato con un post su Instagram. Poi, in ordine cronologico: ad agosto Leandra pubblica “Why did I go silent?” sul suo nuovo account Substack (da cui poi partirà una newsletter, The Cereal Isle, oggi anche in versione a pagamento), a settembre Man Repeller subisce un rebranding e diventa “Repeller” per poi invece chiudere a ottobre, per volere di Leandra.
Cosa è successo ora. Il 7 luglio scorso Leandra rilascia la sua prima intervista dopo il patatrac. È la puntata numero 10 della terza stagione di The Cutting Room Floor (se la cercate su Spotify vedrete che è seguita da una versione tagliata e da un episodio più corto di scuse da parte dell’host nei confronti della comunità ebrea, ci arriviamo). A contorno, una serie di pezzi online sulle frasi dette da Leandra e una marea di insulti su Twitter.
The Cutting Room Floor, segnatevelo. Il podcast diRecho Omandi ha fatto il boom con la puntata di Leandra, passando da una media di 10.000 ascoltatori a 150.000, ma è già alla sua terza stagione. Come molti altri progetti americani degli ultimi tempi (il brand Telfar, il canale YouTube HauteLeMode, ma anche noi abbiamo i nostri e ne avremo sempre di più) nasce dalla frustrazione dei loro autori del sentirsi tagliati fuori dal sistema tradizionale della moda: «ero una giovane designer nera a New York che non credeva davvero nel CFDA come sistema, né pensava che Vogue fosse così rilevante. C'erano molte cose che stavano cambiando in quel momento e non c'erano risposte chiare su cosa avrei dovuto fare. Il podcast era davvero l'unica cosa che sapevo fare per parlare delle mie difficoltà», ha raccontato l’autrice.
Cosa ha detto Leandra. Nel podcast Recho Omondi racconta di aver fatto quell’intervista tre volte, da ottobre a oggi, e di aver dovuto cancellare le prime due, prima per la scortesia di Leandra e poi perché quest’ultima le aveva chiesto di non pubblicarla. Capite che già partiamo malino. Io vi consiglio di ascoltarla, ma provo comunque a citarvi dei passi di una conversazione carica di tensione e con parecchie assurdità.
Leandra comincia col dire che vuole parlare di come ci si sente a essere chiamata “razzista” pubblicamente, e Recho le ricorda che più che “razzista” è stata chiamata “privilegiata” e che il problema per molti è stata la sua mancanza di inclusività da una posizione privilegiata
Poi Leandra fornisce solo una breve spiegazione sulle ragioni del post relativo all’uccisione di Floyd, dopo il silenzio su altri episodi di razzismo e violenza negli Stati Uniti. Ma è chiaro che vuole parlare d’altro e allora parte un’ora buona di monologo interamente incentrato su di lei, sul trauma che ha vissuto, sul fatto che in realtà non era mai stata felice di fare la CEO, che rincorreva i modelli di certe sue colleghe (cita Sophia Amoruso di Girl Boss e Emily Weiss di Into the Gloss e Glossier) e che infine si sentiva triste perché i suoi dipendenti non la trattavano più come un’amica («mi parlavano, ma non si relazionavano più con me sui social media»)
Finisce spiegando che lei in realtà non si è mai resa conto di essere una privilegiata, che come ebrea-ortodossa non si è mai sentita bianca e che ha capito solo recentemente che gli altri la vedevano così ma che in realtà lei ha vissuto delle difficoltà, tra cui il non poter permettersi di andare a pranzo in certi ristoranti di uptown come i suoi compagni di scuola
Bello, però… A ognuno il giudizio su Leandra, sulla sua scelta di chiudere la testata - che certo non è stato il modo per dare spazio a chi non l’aveva dato prima - e sulle sue dichiarazioni a un anno di distanza. Solo che la puntata del podcast ha attirato un’ondata di critiche anche su Recho Omondi, la quale secondo alcuni ha utilizzato parole e luoghi comuni antisemiti. Non le troverete nella puntata che ho linkato, perché è già una versione sostitutiva con dei tagli, pubblicata dall’autrice dopo le prime accuse. Come scrive Chantal Fernandez su BoF, Recho avrebbe evocato degli stereotipi ebraici per sostenere che Leandra non poteva sentirsi un’outsider.
Le scuse di Recho. Ecco il perché del micro episodio di scuse nei confronti della comunità ebraica pubblicato due giorni fa. «Sto ancora cercando di trovare la mia strada nel panorama dei media e se appartengo a questo posto, qual è il mio ruolo qui e qual è la mia etica qui. Non posso nascondermi dietro una grande azienda o una grande rivista. Se faccio o dico qualcosa di sbagliato, è colpa mia. E mi piace perché mi sento libera, ma è anche una grande responsabilità», ha detto Recho.
Il punto del discorso. Nel già citato pezzo su BoF, Chantal Fernandez scrive «Recho Omondi è una stella nascente in una nuova generazione di media di moda, una corte in crescita di podcaster, critici di Instagram e Youtuber con un pubblico fedele, pochi o nessun inserzionista e nessun editore o editore che applica le convenzioni del giornalismo». Un po’ come era stato per Leandra 11 anni fa, insomma. Allo stesso modo, aggiungo io, cerca di colmare le mancanze della comunicazione tradizionale, questa volta non con look-fai-da-te ma con interviste piene di domande scomode. E allo stesso modo inciampa, perché così come i look-fai-da-te non hanno fatto altro che acuire le distanze tra chi la borsa di Chanel poteva permettersela e chi no, le interviste con domande scomode si fanno guidare dalla ricerca del like, della condivisione, della popolarità, polarizzando la conversazione e mancando l’obiettivo dell’informazione, e cioè la sua utilità.
Entrambe navigano (o hanno navigato) in acque difficili e, come potrete immaginare, il tema è parecchio sentito da queste parti. Leandra ha detto e fatto troppo, forse, abbiamo bisogno di una pausa da lei. Per quanto riguarda Recho, invece, ha la possibilità di fare tesoro di questa esperienza. Stiamo a vedere.
Prima di iniziare: è uscito il nuovo numero di Amica e ci sono anche io, con l’intervista ad Angela Missoni sui suoi piani per il futuro. Enjoy!
PEZZI BELLI DA LEGGERE
LVMH ha comprato Off-White, ma l’aspetto più importante è che Virgil Abloh ha assunto un ruolo chiave nel gruppo, diventando così il più importante manager nero nel più importante gruppo del lusso, spiega Vanessa Friedman (New York Times)
Serena Tibaldi spiega le operazioni di questa settimana, da L Catterton che ha comprato il 60% di Etro a Zegna che si è quotato in borsa (D la Repubblica) Consiglio anche di recuperare il mio pezzo sulla possibile nascita di un grande gruppo della moda italiana (Rivista Studio) 🤓
Liam Hess esplora in lungo e in largo i fattori che hanno riportato in auge la moda anni 2000 (British Vogue) Ma c’è anche una dark side (Harper’s Bazaar)
Come stanno reagendo i Millennials cinesi a questo anno e mezzo di COVID-19? (Jing Daily)
MODA DA SFOGLIARE, GUARDARE, ASCOLTARE
E così Emanuele Farneti lascia il posto di direttore di Vogue Italia, l’Uomo Vogue e Ad. Interessanti le parole con cui si è congedato su Instagram, «Tra le tante lezioni che porterò con me, ne sottolineo una: possiamo essere, e non di rado siamo stati, la rivista che cerca di spingere il limite appena un passo più in là. La moda può farlo, questa redazione può farlo, e ho la speranza che continuerà a farlo in futuro» (qui la newsletter sui cambiamenti nell’editoria di moda)
Guida a tutte le divise delle Olimpiadi (Fashionista)
Balenciaga ha di nuovo cancellato tutti e ora c’è Justin Bibier ⬇️
Intervistare Halima Aden è stata una delle cose più interessanti che abbia fatto per iO Donna, nonostante la sua giovane età. Recentemente ha raccontato la sua scelta di lasciare l’industria della moda, insieme a Tommy Hilfiger (BBC)
Tre delle mie persone preferite nella moda, a cena a New York: la stylist Grace Coddington, la cui biografia vi dirà molto su cosa significa fare il suo lavoro (Amazon), Edward Enninful, editor-in-chief di British Vogue di cui ormai parliamo un giorno sì e uno no, e la modella Karen Elson che pochi mesi fa ha parlato in una bella intervista di agenzie e dintorni (The Cut)
MODA DA COMPRARE*
Lo so che state già pensando all’autunno, quindi micro selezione del brand ossessione del momento, Totême, su Vestiaire (tutto dall’Europa): camicia in seta, infradito con tacco, jeans straight, sandali con suola squadrata, maglione in lana, tubino smanicato
Questa cosa della moda che si è (ri)appassionata al rollerblading noi a casa la viviamo con estremo trasporto. E, dunque, sono usciti i pattini di Bottega Veneta: costano 2,100 $ 🙈
Ma come dimenticare questi ⬇️
* Con alcuni degli e-commerce multibrand linkati nella newsletter ho un'affiliazione, questo significa che se acquisterai qualcosa tramite quei link guadagnerò una piccola percentuale. Su Amazon ho anche una vetrina, dove trovi i miei libri di moda (e dintorni) preferiti.
STUDIARE E LAVORARE
NSS ha aperto una marea di posizioni tra cui una come news editor, Chiara Ferragni Brand un graphic designer, Torcha un giornalista, Fendi un sustainability associate
Italia in digitale è un piano attraverso il quale Google fornisce una serie di strumenti per migliorare la presenza e le performance online di professionisti e aziende. Tra le altre cose ci sono una marea di mini corsi gratuiti (da come utilizzare Drive per organizzare i propri file a impostare un’agenda digitale ben fatta) che consiglio di esplorare
Anche oggi abbiamo fatto, ci vediamo sabato prossimo nella vostra casella per l’ultimo appuntamento prima delle vacanze e preparatevi perché ci sarà da fare qualche calcolo. Buona settimana!