Il 19 gennaio 2008 avevo 17 anni, frequentavo il quarto anno di liceo e usciva la prima puntata di Gossip Girl. Ero già una fan di Sex & The City, anche se quella moda lì l’avrei apprezzata più avanti nel tempo, e di The O.C., maledette gonne a balze di Marissa Cooper. Insomma, lo stile delle due protagoniste della serie tv basata sui libri di Cecily von Ziegesar, Serena van der Woodsen e Blair Waldorf, non poteva che colpirmi in pieno, con colpi di sole conseguenti e foto scattata sugli scalini della privatissima e snobissima Constance Billard School durante un viaggio-studio a New York.
Tredici anni dopo, pur consapevole di non essere più propriamente in target, ho guardato la prima puntata del reboot, prodotta da HBO Max e con Jason Scwartz, allora regista della serie, ora nelle vesti di produttore. Quello che è dato sapere prima di iniziare è che l’identità di “Gossip Girl” viene subito rivelata, al contrario di quanto succede nella serie originale. Ma passiamo subito alla moda, tanto non sono io a dovervi dire che non è certo la serie da guardare se siete in cerca di qualcosa di qualitativamente rilevante. E in effetti i vari teaser e trailer non mi avevano attratta un granché, ma l’insonnia ha fatto la sua parte, insieme all’aver letto che il costumista è rimasto lo stesso, Eric Daman.
L’abbiamo già detto, in questi tredici anni la moda non ha fatto grandi passi nel suo rapporto con il cinema e con le serie tv, quindi produzioni come Emily in Paris o Made in Italy fanno comunque parlare. Insomma, un po’ ci accontentiamo. Ma è anche vero che negli ultimi mesi sembra essersi risvegliato il fuoco degli uffici comunicazione. E anche se non scopriamo certo oggi che il product placement è una forma di pubblicità estremamente efficace (cosa sarebbe la Saddle by Dior senza Carrie?), sono pochi i brand che l’hanno veramente sfruttato, almeno fino ad ora. Qui c’è parecchio, quindi anche solo per questo vale la pena fare due riflessioni. Dunque cominciamo con il fare un po’ di nomi di marchi presenti nella nuova serie tv e poi veniamo al resto.
L’avevamo visto con Emily in Paris, ora qui: le serie tv sono un’opportunità enorme per i marchi e penso che su questo tema siamo solo all’inizio (qui c’è anche l’approfondimento di Stylight sulle ricerche online relative alle scarpe che si vedono nella serie). Ora passiamo alla domanda che mi avete fatto in tantissimi su Instagram in questi giorni: la moda in Gossip Girl è cheap? Esattamente come in Emily in Paris, in effetti, il risultato dei look delle protagoniste è sempre abbastanza cheap (con cheap si intende un look non particolarmente cool, a prescindere dal prezzo, ma come conseguenza penalizza anche certi pezzi di prêt-à-porter che dovrebbero/vorrebbero avere una percezione valoriale più alta). Questo non succede con i look maschili e non mi spiego come sia possibile questa differenza così netta ⬇️
Altre menzione d’onore va ai look della sfigatissima professoressa interpretata da Tavi Gevinson, altro idolo per la mia generazione, ex bambina-blogger e tra i le mie persone preferite su Instagram.
Il mix tra prodotti molto commerciali di super brand (come le sneakers di Balenciaga) e una forte iniezione di nuovi nomi americani (ci arriviamo), poi, corrisponde con il processo creativo fatto da Daman per l’originale Gossip Girl, in cui Chanel e Marc Jacobs si mixavano a Georges Chakra e altri finiti nel dimenticatoio. Quindi, cosa è successo? Due le possibilità: la prima è che rispetto a tredici anni fa siamo molto meno influenzati dallo stile americano - non ci piace più il loro modo di indossare le cose europee, né ci sembrano particolarmente interessanti i loro giovani brand -, la seconda è che chi scrive è irrimediabilmente cresciuta e non capisce quel tipo di moda proprio perché non è più in target (anche una buona maggioranza di chi legge, direi da questi mesi di interscambi, ma Gen Z, se siete all’ascolto, aspetto di sentire la vostra opinione).
Un altro tema rilevante, sempre per chi guarda a questo tipo di serie prevalentemente per la moda, è quello dei giovani brand americani. Il momento chiave della prima puntata è quello in cui Julien chiude la sfilata di Christopher John Rogers con indosso un abito il cui taglio e stampa, penso, ci lascia tutti perplessi. Non in tema di bellezza oggettiva del capo, come sempre, ma di rilevanza e innovazione. Eppure il designer negli Stati Uniti Rogers è osannatissimo, considerato l’astro nascente della moda e scelto già da Beyoncé, Lizzo, Miley Cyrus e compagnia bella. Riuscite a immaginare che trampolino sarebbe per Marco Rambaldi, Alessandro Vigilante, Des Phemmes, Andreadamo essere in una serie pensata e prodotta per la Gen Z?
Insomma, forse la cosa difficile nell’approcciarsi, giudicare ed eventualmente apprezzare questo reboot è farlo pensando che decisamente non è stato creato per noi. I colleghi del settore dicono che l’industria del cinema e delle serie è parecchio stanca, dopo un anno e mezzo di pandemia e produzioni accese e spente. Per questo si affida a operazioni nostalgia, provando a ricalcare (con linguaggi nuovi, certo, inclusività a manetta) processi che hanno già riscosso il successo del pubblico. Ma il suo compito è quello di convincere un’intera nuova generazione, quella degli adolescenti e post adolescenti. Vi ricorda un’altra industria che sta iper producendo capsule collection d’archivio e ricalcando prodotti must di 10-15 anni fa? Tipo, la moda?
PEZZI BELLI DA LEGGERE
Cathleen Chen scrive che probabilmente in negozio ora vi sembrerà di vedere la solita minestra riscaldata, ma che a settembre si riparte (BoF)
Forse anche a voi sembra passato un mese ma era solo lunedì e Phoebe Philo annunciava il suo annuncio: perché è importante e cosa aspettarsi by me medesima (iO Donna)
Rachel Cernansky racconta che Gelmart, produttore americano, lancerà il primo reggiseno creato dalla canna da zucchero. Potrebbe essere un grosso passo avanti per il settore dell’intimo (Vogue Business)
Cecilia Caruso ha trovato un’angolazione interessante e nei suoi pezzi racconta la (poca) moda su TikTok: questa settimana qualche dettaglio in più sul metodo di lavoro di Anna Wintour, fornito dalla sua ex assistente (NSS)
MODA DA SFOGLIARE, GUARDARE, ASCOLTARE
È molto grossa questa cosa di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, che si fa intervistare da Fedez e Luis Sal in Muschio Selvaggio. 500mila visualizzazioni in una manciata di giorni, target da leccarsi i baffi e, finalmente, domande meno modaiole e più democratiche. Domanda: se i giornali non hanno più nemmeno le interviste ai grandi designer, cosa rimane per loro?
È iniziata la nuova stagione di Making the Cut, ne avevo scritto l’anno scorso (Rivista Studio)
Naomi è il volto della capsule collection estive di Burberry, Kate di Skims. Arriverà mai qualcuna in grado di offuscare la loro luce?
Perché non sapevo dell’esistenza di un podcast di The Cut!?
Rivediamo la sfilata Haute Couture di Valentino a Venezia e qui lo spiegone
MODA DA COMPRARE*
Ma un costume fatto bene, in saldo e da comprare all’ultimo momento? Eccoli: Stella McCartney (anche slip), Christopher Esber, Tropic of C, Mimì a la Mer, Reina Olga, Anemos (anche slip), Solid&Striped, UND Swimwear, Reina Olga, LoveShackFancy, Melissa Odabash, Oséree
Lyst è un aggregatore di e-commerce e ogni tre mesi compila una lista dei prodotti più ricercati online. Questa settimana è uscita quella relativa al Q2 del 2021 e io sulle Slide sono ancora confusa
* Con alcuni degli e-commerce multibrand linkati nella newsletter ho un'affiliazione, questo significa che se acquisterai qualcosa tramite quei link guadagnerò una piccola percentuale. Su Amazon ho anche una vetrina, dove trovi i miei libri di moda (e dintorni) preferiti.
STUDIARE E LAVORARE
Se leggo un’altra frase motivazionale a tema carriera su Instagram vomito però, ecco, questa cosa qui mi è sembrata utile
Sul tema invece della quantità di ore che passiamo lavorando Factanza ha messo in fila un po’ di dati in questo post
Dolce&Gabbana cerca un e-business specialist, Gucci un EMEA e-commerce content specialist, Moncler un talent relations manager, Saint Laurent un sales associate
Un webinar po’ tecnico ma a qualcuno può servire (almeno, io ho scoperto un bel po’ di cose nuove), come analizzare le performance degli influencer. Conclusione: l’engagement rate non è più la metrica a cui affidarsi per giudicare il valore del lavoro di un creator
Anche per questa settimana è tutto. Ci vediamo mercoledì con la newsletter dedicata allo shopping e poi sabato prossimo, come sempre 🧡 Io sarò finalmente un po’ in vacanza quindi magari mi sentirete un po’ meno su Instagram, ma la pausa dalla newsletter la facciamo ad agosto 🏖️