#52 Ristrutturazioni in corso
Io la moda cerco sempre di prenderla con un po’ di ironia, dentro e fuori da questa newseltter. Non significa che non prenda sul serio le montagne di notizie, commenti, opinioni che leggo e sento tutti i giorni, ma cerco di riportarle spogliate di una certa pesantezza che, a mio avviso, le rende meno interessanti.
Oggi però c’è poco da scherzare. Le notizie che vedremo insieme potrebbero essere uno spunto di riflessione anche personale, o perlomeno daranno un’idea del fatto che questo anno e passa ormai non lascerà il settore senza cicatrici. Certo che tutto cambia sempre e che la pandemia non ha creato nessun problema che già non esistesse prima. Ha però messo l’acceleratore su tutto quello che c’era e ora che, speriamo, ne stiamo uscendo, saremo scaraventati con la fionda verso un mondo profondamente cambiato. Non parlo di vestiti: avremo tutto il modo di provare a indovinare cosa indosseremo post-coronavirus in un altro momento. Parlo delle aziende e delle persone che quelle aziende le portano avanti. Ma partiamo dalle notizie:
Condé Nast Italia (Vogue, AD, Condé Nast Traveller, GQ, Vanity Fair, Wired, La Cucina Italiana) ha comunicato una perdita prevista di 12 milioni per il 2021 e che la sede italiana taglierà 26 dei 69 giornalisti al momento in organico. Ci sarà un periodo di “uscite volontarie”, mentre se a fine giugno non si sarà raggiunto il numero stabilito si passerà a qualcos’altro. Ancora non si sa se si tratterà di licenziamenti individuali, collettivi o chiusura di testate
Hearst Italia (Elle, Gente, Marie Claire, Cosmopolitan, Esquire , Harper’s Bazaar) ha annunciato un taglio del 50% dell’organico. Anche qui ci sarà un periodo di uscite con scivoli (e l’intenzione ora è di non chiudere alcuna testata). Nel caso in cui dopo il 22 giugno non si fosse raggiunto l’obiettivo, l’azienda aspetterà la fine del blocco dei licenziamenti per avviare una procedura collettiva
Angela Missoni, figlia dei fondatori Rosita e Ottavio, ha lasciato la direzione creativa del marchio, dopo che sua figlia Margherita aveva fatto lo stesso due mesi fa con la seconda linea M Missoni. L’ufficio stile ora è guidato da Alberto Caliri, ma in un’intervista con Mariella Milani Angela ha detto che non sa se le cose potrebbero cambiare. Un anno fa l’azienda ha assunto Livio Proli (ex Armani) come amministratore delegato per rilanciare l’azienda verso una conduzione meno familiare e più manageriale
Anche Valentino si riorganizza. Annuncia il fur-free (moltissimi grandi brand avevano già fatto questa scelta negli scorsi mesi) e chiude la seconda linea REDValentino (le attività saranno sospese dal 2024)
Un mese fa Diego Della Valle ha ceduto il 6,8% del capitale sociale di Tod’s a Delphine S.A.S., società controllata controllata dal gruppo LVMH. Questa settimana è tornato sul tema dicendo a un summit: “se un giorno decidessi di vendere Tod’s, avrei totale fiducia in Bernard Arnault (proprietario di LVMH, ndr)”. Per ora Tod’s (il cui gruppo comprende anche Fay, Hogan, Roger Vivier) non è in vendita, ma se Della Valle dovesse cambiare idea sapremmo chi sceglierebbe
Che dire? Partiamo dall’editoria. Su BoF è uscito un pezzo di Nina-Sophia Miralles, autrice che non conoscevo e che ha recentemente pubblicato un libro sulla “storia segreta” di Vogue, lo leggo e vi so dire. Miralles nel suo op-ed spiega che la riorganizzazione di Condé Nast - di cui avevamo già parlato e che nel corso dei mesi ha visto molte altre uscite importanti tra cui, non ancora confermata, quella di Emmanuelle Alt da Vogue Paris e l’entrata di Margaret Zhang da Vogue Cina - segue uno schema già sperimentato dalla casa editrice. Solo che era molto tempo fa. Ora l’effetto più visibile è la syndacation, l’utilizzo comune di contenuti (tradotti) in una rete di testate. In soldoni, e già è molto visibile per chi bazzica le testate cartacee e online, si trovano gli stessi pezzi (e anche gli stessi servizi fotografici) su giornali di Paesi diversi. Non solo, una cosa prodotta per Vogue può andare su Vanity, per esempio: nel numero scorso di Vanity Italia ci sono le foto e l’intervista ad Amanda Gorman prodotti per il numero di maggio di Vogue America. Non è che sia una novità assoluta, però è chiaro che è una pratica utilizzata con un solo obiettivo: risparmiare. Ma, come scrive Miralles, da una parte oggi viviamo in un mondo globalizzato, siamo abituati a poter scegliere se comprare Vogue America o Vanity Fair Italia in edicola, quindi vorremmo scegliere l’uno o l’altro perché sappiamo di trovare all’interno dei contenuti differenti, e dall’altra parte, altamente sensibile al locale, per cui è impensabile che un giornalista del Winsconsin (invento) possa fare un’analisi di una sfilata come potrebbe farla una di Bologna (invento). Il bello sarebbe avere entrambi i punti di vista, ma è chiaro che non è questo che ci possiamo aspettare nel prossimo futuro dalle riviste. E forse mai più, chi lo sa. Questo non vuol dire che le case editrici non spingeranno da altre parti, sappiamo che Condé Nast ha aspettative altissime sulla sua produzione video e che nei pacchetti pubblicitari rivolti agli inserzionisti di tutte le case editrici ormai non possono mancare le consulenze social.
Sui brand, invece, ci sono da segnalare un altro paio di cose. Sempre prima degli altri, Armani ha annunciato il ritorno alle sfilate in presenza (poi non dite che non ve l’avevo detto): il 21 giugno ci sarà lo show uomo, il 3 luglio l’alta moda, entrambi a Milano. Anche Balenciaga conferma l’evento dal vivo, il prossimo 7 luglio, dopo la ristrutturazione del couture salon originale di Cristóbal Balenciaga. Dall’altra parte pare che le trattative tra Etro e L Catterton (LVMH) pare stiano procedendo. Cosa voglio dire con questo? Che il sistema si sta polarizzando. Grande diventerà molto grande, prossimamente, e solo chi ha avuto e avrà la forza di spendere, investire, rischiare, riuscirà. È tipo la versione super saiyan del lusso. C’è LVMH (che comprende già Dior, DKNY, Fendi, Celine, Marc Jacobs, Givenchy, Kenzo, Loro Piana, Louis Vuitton + i gioielli), Kering (Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Brioni + i gioielli), Richemont (Chloè e Azzedine Alaïa, più specializzato sui gioielli), OTB (Diesel, Maison Margiela, Marni, Viktor&Rolf, Amiri, Jil Sander, Staff International), Capri Group (Michael Kors, Versace, Jimmy Choo). E i grandi lupi solitari: Armani, Burberry, Chanel, Ferragamo, Hermès, Moncler (che intanto si è comprato Stone Island), Prada, Zegna. Poi, appunto, Missoni, Tod’s e Etro, a casa nostra. Di questi lupi solitari alcuni possono prevedere di giocare ad armi pari con i grandi gruppi, ma non sono molti. Tutti gli altri è probabile che valuteranno una cessione. Ma prima ci sarà da vedere se questo benedetto revenge shopping esiste davvero, e quali marchi investirà, forse solo quelli che sono stati capaci di innovarsi e restare rilevanti in questi mesi. Oppure ne gioveranno anche gli altri?
PEZZI BELLI DELLA SETTIMANA
Allora non sono io, BoF spiega perché stanno nascendo così tante linee di kidswear
Su certe cose della moda c’è sempre un po’ di malinconia, e Polyvore è una di quelle. Su i-D Lexi McMenamin ha ipotizzato qualche alternativa
Chi bazzica il mondo degli influencer saprà già del casino nato intorno a Danielle Bernstein di WeWoreWhat, con accuse di copycat ripetute annesse. E non è certo l’unico. Eliza Huber su Refinery29 ha raccontato che sono i marchi più piccoli a soffrirne di più e che non ci possono fare molto
QZ riporta che Facebook sta per lanciare le live shopping negli Stati Uniti
Dirt, una delle mie newsletter preferite, racconta perché J.Crew ha scelto Brendon Babenzien come nuovo creative director
La sempre brava Rachel Tashjian spiega il successo di Hermès
MODA DA SFOGLIARE, VEDERE, ASCOLTARE
Questa settimana ho finalmente ripreso la mia rubrica sulla storia della moda raccontando della battaglia di Versailles, evento del 1973 citato nella nuova serie Netflix dedicata ad Halston. Sulla sfilata esiste anche un libro di Robin Givhan, lo trovate come sempre nella mia vetrina Amazon. Su Instagram invece qualche considerazione sulla serie e sulla vera storia del designer. Su The Cut la versione di Pat Cleveland
Nuovo podcast modaiolo, If jewels could talk di Carol Woolton
Gita a Firenze in programma? Andate a vedere la mostra Archetypes al Gucci Garden (in piazza della Signoria 10) e Seta al Museo Salvatore Ferragamo (in piazza santa Trinità 5). Poi girato da Fashion Room Shop, in via il Prato 7
Dietro a un account come @mediasetplaycult ci deve essere per forza un modaiolo/a, da seguire
SCUOLA E LAVORO
Substack, la piattaforma da cui invio questa newsletter, cerca un community storytelling lead da remoto, Bottega Veneta un sustainability intern, Kering un innovation project manager
WSJ Noted è un progetto editoriale nato l’anno scorso per parlare di soldi al target Millennial e Gen Z. Anche se molte cose sono americane, ci sono delle testimonianze che possono far riflettere
I panel di BoF sono sempre tra i più interessanti e solitamente li caricano su YouTube qualche tempo dopo averli riservati agli abbonati. Questa settimana, il futuro delle scuole di moda:
MODA DA GUARDARE
Nell’ultimo mese i 9,5 milioni di follower dell’account Instagram di Chloè hanno fruito di una cinquantina di contenuti, quasi tutte foto e pochi video, quasi tutto macro dedicati al mondo della natura.
Come ormai è uso fare tra gli account dei grandi brand di moda, tutti i contenuti sono stati cancellati come a dire che quello che c’è stato prima non conta. Per una millennial che fa fatica anche a modificare una caption è abbastanza difficile da accettare, spero mi capiate là fuori. Al di là del voler dare una sferzata non solo al designer e all’intera strategia aziendale precedente, è un gesto abbastanza fuori dalla mia comprensione, visto che poi tutti i grandi nomi concentrano la stragrande maggioranza delle loro energie nel parlare di heritage, riscoperta, eccetera. Sarà per questo che nascono e fioriscono così tanti account dedicati al passato di un brand piuttosto che un altro, io man mano li metto in una guida: la trovate qui, se avete suggerimenti mandatemeli pure. Un paio d’anni fa i-D aveva intervistato i gestori degli stan account più grandi al mondo.
Comunque, tutto questo Chloè lo sta facendo perché a breve debutterà commercialmente la prima collezione della nuova direttrice creativa, Gabriela Hearst (ripassino, se vi serve). Io devo dire che ero un po’ una bimba di Natacha (la designer precedente, allieva di Nicolas Ghesquière) e mi è molto dispiaciuto che sia l’ennesima designer a cui viene dato troppo poco tempo per provare a rifare grande un brand. Ma non partiremo prevenuti con Gabriela, che si presenta con la promessa di fare un Chloè sostenibile, e non potrà che essere interessante analizzare la sua strategia di produzione e di comunicazione. Intanto qui trovate la sua prima collezione, quella che sarà in vendita a breve.
È tutto per oggi, ci vediamo sabato prossimo 🦦