Sono sempre andata in vacanza nello stesso posto. O meglio, con i miei genitori viaggiavamo parecchio, in camper. Loro macinavano chilometri, io e mia sorella leggevamo libri, giocavamo a Uno! e salutavamo le macchine dal finestrino posteriore. Ma ogni anno c’era una tappa fissa, un campeggio in una località per niente hype (ma bellissima) della Sardegna. A quel luogo appartengono molti dei miei ricordi più cari: le corse sfrenate in bici con relative ginocchia sbucciate, i falò in spiaggia con il costume da bagno e la felpa, le file per la doccia e le confidenze, i primi baci e le prime sbronze.
Avrete capito ormai che sono una da riti. Amo le cose che si ripetono, come una newsletter che racchiude la sua cadenza nel suo stesso titolo, infilandosi nelle vite di chi vuole farle spazio. Tra i tanti riti delle vacanze in campeggio, però, non ho mai fatto pace con quello dei saluti. Non ho mai imparato a salutare. La sera prima promettevo agli amici di passare dalla piazzola per dire un ultimo “ciao” e invece sgattaiolavo via, attenta a non incrociare nessuno. Tanto, comunque, ci saremmo ritrovati.
Ho seriamente valutato di sgattaiolare via da qui senza salutare, sicura che avreste capito. E che tanto comunque ci saremmo ritrovati. Invece mi sono messa a fare dei tentativi, a digitare una parola dopo l’altra. Perché ormai sono grande e perché, pur con un po’ di malinconia, vorrei che questa fosse ancora una volta l’occasione per condividere qualcosa di importante.
E poi prima delle vacanze - indovinate dove sono andata? - avevo già salutato Vogue. È stato un salutarsi lungo, ridanciano, dolcissimo. Che è come il Vogue che ho conosciuto, radicalmente diverso dal mito con cui ero cresciuta, quello di un Vogue impenetrabile, spaventoso. Vogue per me è stato sinonimo di ricostruzione, con tutte le responsabilità che ne derivano. Fortunatamente ho potuto affrontarle insieme a una manciata di persone dotate di una caratteristica che apprezzo particolarmente, la bontà. Insieme ci siamo trovate davanti un esercito di giovani esseri umani per lo più spiazzati e storditi dai meccanismi saltati in aria del mercato del lavoro, generalmente dolcissimi, bisognosi di condividere stati d’animo, punti di vista, sensazioni, e, soprattutto, sempre pronti a buttare un’emoji assurda in una mail formale. Mi sono molto divertita e spero di aver lasciato qualcosa di significativo in loro. Quel saluto lì, con i discorsi improvvisati e imperlati di sudore in una caldissima serata milanese, con il cappellino che meritavo, con Gigi incorniciata, con un “ciao” inciso nell’argenteria, mi ha dato il coraggio per questo, di saluto.
Mi viene da ridere mentre scrivo perché, nelle ultime settimane, mentre la newsletter era ferma per la pausa estiva, sono arrivati parecchi nuovi iscritti che ora penseranno che sono suonata e che tanto meglio, la loro casella non aveva bisogno di questo. Ma qui seduta davanti allo schermo non posso che rivolgermi soprattutto a chi c’è stato dall’inizio o quasi, a quegli indirizzi mail che ormai suonano familiari nelle mie orecchie e senza i quali non sarei arrivata fino a qui. Allora comincio con i grazie: grazie per le condivisioni, i tag, gli inoltri. Questa newsletter è cresciuta quasi solo tramite passaparola, e quindi tramite voi. Poi grazie a tutti quelli che in qualche modo hanno partecipato a questa newsletter, come fonti o come ospiti. Grazie a chi ha commentato, prendendo parte alla conversazione. E grazie a chi ha sopportato i miei messaggi, quasi sempre verso le 7 del mattino: “ti mando l’anteprima, mi dici cosa ne pensi?? Sincera/o eh!!”.
Sono molto grata a La moda, il sabato mattina. Certo, mi ha scombussolato i piani, gli orari, gli impegni, il ritmo del sonno. Spesso mi ha fatta sentire sovraesposta, anche un po’ insicura. Non sono mai riuscita a vivere con leggerezza l’idea di fare informazione in modo così diretto e autonomo e a un pubblico così ampio. Ma più di ogni altra cosa mi ha trasportata in un viaggio dentro me stessa. In molti casi è stata la migliore versione di me. È stata senza dubbio l’esperienza più formativa fino a ora, da cui ho imparato a essere più aperta, a contare (almeno!) fino a 3, a pesare le parole, a essere diretta, a mantenere una disciplina ferrea. A credere nel messaggio, ma anche nel mezzo. A stare in ascolto. Soprattutto, mentre cercavo di trovarlo per voi, mi ha dato la possibilità di capire che valore avesse per me la moda. È stata, infine, lo specchio di quello che ho attraversato nel frattempo.
Prima di diventare mamma pensavo, semplicemente, di poter fare tutto. Ho vissuto la prima parte della mia vita da privilegiata: in salute, circondata da affetti solidi, educata alla curiosità. Il giorno in cui sono diventata mamma è quello in cui ho conosciuto la paura. E in cui mi sono scontrata come in un frontale con l’approccio travolgente con cui avevo sempre affrontato ogni cosa. Oggi sto ancora cercando l’equilibrio tra la me che vorrebbe che il tempo si fermasse e che le opportunità si riducessero, creando le condizioni per cui il mio piccolo nucleo familiare resti integro, intatto, per sempre. E la me, invece, che pagherebbe per avere giornate più lunghe, per fare tutto quello che le va, senza dover mai rinunciare a niente. Oggi ci salutiamo, ma a un certo punto so che troverò le parole per raccontare quest’altra storia, e spero di ritrovare chi di voi ha vissuto, sta vivendo o vivrà la stessa cosa.
Sono quasi al punto, ma vorrei aggiungere un pezzettino molto personale (come se il resto non lo fosse!), e quindi fondamentale. Niente di tutto quanto sto raccontando avrebbe lontanamente la stessa forma se non avessi avuto accanto una persona la cui generosità, capacità di vedere il bello e il buono delle cose, approccio alla genitorialità ed entusiasmo per la vita sono letteralmente travolgenti. Lo sanno bene le tante persone che conoscono Json - gli amici, ma anche quanti hanno lavorato con lui e lo hanno riconosciuto dai miei contenuti, ritrovando la sua eccezionalità che spesso mi piace raccontare. Quando una mattina del primo lockdown gli ho spiegato con qualche parola l’idea di questo progetto, lui mi ha guardato e mi ha detto: “fallo”. E poi quella mattina “dai, mandala”. E quante altre volte mi ha detto “dai”, sottintendendo “non avere paura, ci sono io qui per te”. A te J, va il più grande dei grazie, ma lo sai.
Che viaggio è stato questo insieme, io e voi, noi. A chiunque me l’abbia chiesto in questi anni ho detto che sì, vale la pena provare a fare qualcosa di diverso, da soli o in compagnia, tentare di rompere le regole per costruire qualcosa di nuovo. Le insidie ci sono. Passano dalla paura dell’oblio che provoca lo scrivere (o parlare) senza essere letti (o ascoltati) fino al rischio di ubriachezza di consenso, con la naturale conseguenza di perdere l’obiettivo, smettendo di farlo per gli altri e cominciando a farlo per noi stessi.
Chi mi segue dall’inizio avrà notato che, a un certo punto, ho deciso di investire meno energie e coinvolgimento nella mia presenza sui social, specialmente su Instagram. Sono orgogliosa di non aver personalizzato questo lavoro, di non aver lasciato che la vanità, gli interessi e gli umori influenzassero il vero scopo del mio stare su internet: raccontare la moda a chiunque volesse ascoltarla. Sono riuscita a farlo anche grazie alla vostra estrema gentilezza. Un amico che capisce i linguaggi di internet una volta mi ha detto “hai un pubblico incredibilmente educato”. L’ho apprezzato dall’inizio alla fine, davvero.
Ma questo non è un addio. Sono convinta che i progetti editoriali trovino la loro maggiore forza nel saper raccontare un pezzo di realtà. Un momento, un luogo, una comunità. Penso ai miei magazine preferiti, ma anche alle newsletter, i podcast e così via. Quelli che ho preferito sono quelli che hanno saputo maggiormente inquadrare qualcosa di molto preciso (Love Magazine, Da Costa a Costa, Cachemire Podcast, solo per fare qualche esempio…). E che, a un certo punto, hanno scelto di fermarsi. Quelle persone sono più forti di prima - Katie Grand, Francesco Costa, Luca e Edoardo. Hanno preso il meglio da quella esperienza e l’hanno poi trasformato in un’energia nuova, pronti ad alimentare forze dalle forme diverse e fluttuanti.
Ancora una volta, la moda si trova a un punto di svolta. Sembra passato un milione di anni da quando ce ne stavamo chiusi in casa a commentare gli esperimenti delle sfilate digitali e i risultati incredibili degli e-commerce, ci chiedevamo se avremmo indossato la tuta a oltranza, avevamo lo spazio per scoprire brand indipendenti, davamo attenzione agli statement sulla sostenibilità. Dalla pandemia abbiamo invece ereditato un sistema più complesso, frammentato, in cui è difficile disegnare dei pattern di comportamento, almeno per ora. Per questo tanti brand stanno cambiando, preparandosi a vivere una nuova era.
Ecco perché la mia prossima avventura si chiama Sabato (difficile non pensare che sia destino, no?), si chiama Gucci. Ci siamo trovati un po’ per caso, le nostre strade si sono incrociate e ora è tempo di camminare insieme. Sarà diverso da quello che ho fatto fino a ora nella forma, ma non nell’essenza. Sarà, in breve, un’esperienza unica. E allora fatemi un grande in bocca al lupo.
Avrei voluto fare una mega festa di arrivederci, ma non ho avuto tempo di organizzarla. Tante idee sono ancora in fase di realizzazione: una fanzine con le puntate più belle, una vendita di beneficenza con i designer che ho supportato e che mi hanno supportata fino a qui, un brindisi dal vivo con chi vorrà. Lo scrivo qui, così non posso rimandarlo troppo. E voi non cancellate la vostra iscrizione, perché è qui che ci ritroveremo. Una cosa tecnica: i vostri abbonamenti oggi saranno automaticamente chiusi e riceverete un rimborso qualora la loro scadenza fosse fissata più avanti.
Un’ultima nota prima di andare. Se questa newsletter lascia un vuoto nelle vostre ricerche e nel vostro lavoro, investite in Line Sheet, di Lauren Sherman, ex giornalista di Business of Fashion, ora alla guida di questo progetto editoriale ambizioso che si inserisce in un piano editoriale più ampio della piattaforma Puck. Questo è il mio ultimo consiglio, per ora.
Ancora una volta, altre mille volte: GRAZIE.
E a presto,
Chicca💖
P.S. La mia resta federica.salto@gmail.com, lì mi trovate sempre!
Ciao Federica, mi sono commossa tanto nel leggerti. Alterno sensazioni di malinconia alla felicità di saperti serena per una “fine” che sa di nuovi inizi. ❣️
Entrare in una newsletter all'ultimo capitolo, non capire nulla di moda, leggere il finale (a lieto fine) solo per il gusto di scoprire i pensieri, le emozioni, le paure e le aspettative per il futuro.
Gli arrivederci scioccano ma lasciano aperte porte, per fare entrare aria, idee, luce in attesa che la padrona di casa ritorni.
Così, il giovedì sera.