Su 114 newsletter che ho inviato di sabato mattina, 74 contengono la parola “Gucci”. Mi è capitato più di una volta di farmi lo scrupolo di segnalarlo meno, perché il lettore deve fidarsi e in un settore come questo è facile pensare che possano esserci degli interessi dietro. Nessun interesse, sono stata a pochissime sfilate del brand e non ho mai parlato con Alessandro Michele. Ma la sua direzione creativa mi ha emozionata molto e molte volte. Ero un’assistente imbucata alla sua prima sfilata a febbraio 2014 (anzi, alla seconda, perché l’effettiva prima è stata quella maschile di gennaio) e non capivo il grado di incazzatura che girava a ritmo di “sono pazzi a dare a Gucci a uno sconosciuto”. Probabilmente avranno detto “a un giovane sconosciuto” perché Michele all’epoca aveva 42 anni, un poppante per la moda italiana (anche se lavorava in Gucci da una vita). Dopo il sexy di Tom Ford e il sexy di Frida Giannini con lui è stato tutto un fiocco, una stampa a righe diagonali, un denim e un mocassino. I mocassini con il pelo, ve li ricordate? Quanto ce l’avevano le persone con quei mocassini!?
Non c’è niente di più lontano dal mio gusto dalle fake fur anni ‘70. Non che non sia una fan de I Tenenbaum, chiaramente, ma il look di Gwyneth lo sposo più come travestimento per Halloween che come daily look.
Ma con Alessandro Michele non è mai stata (solo) una questione di vestiti. Vagando nell’archivio ho ritrovato i post pubblicati durante il primo lockdown sul profilo Instagram del brand, con i quali si annunciava una presa di posizione distante dal tradizionale calendario delle sfilate (e della produzione). Ma anche il Gucci Fest, festival digitale con gli shortmovie di Gus Van Sant, le campagne dei rossetti con i denti storti, il messaggio vocale come invito allo show, Gucci Vault a supporto dei designer emergenti, Equilibrium, la piattaforma di racconto delle iniziative sostenibili, Gucci Garden, i draghetti e le teste mozzate, Dapper Dan, i gemelli. Le location: Allée des Alyscamps, Castel Del Monte, Hollywood Boulevard, i Musei Capitolini. Ma anche, naturalmente, Harry, Florence, Billie, Lana, Jared, Jessica, Millie, Ryan, i Måneskin, Achille, Asap, Rihanna, Ghali. E, appunto, non abbiamo ancora neanche iniziato a parlare di vestiti. Citerò solo la Jackie, la cintura con il logo, Gucci/Balenciaga, Gucci/adidas. Sto sicuramente dimenticando molte cose belle e importanti di questi sette anni, ma non importa, ci siamo capiti.
Li avrete visti i post-spiegone su Instagram. È inutile che venga io ora, quattro giorni dopo, a dirvi che pare che sia stata l’azienda (il gruppo Kering, che possiede anche Balenciaga, Saint Laurent, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron, Brioni, Pomellato) a prendere la decisione dopo i rallentamenti delle vendite degli ultimi mesi. *Un appunto giornalistico: che bello sarebbe se le singole testate si sforzassero di produrre contenuto originale, invece che ricalcare quello degli altri - diciamolo, di BoF, WWD e Vogue Business - senza tra l’altro quasi mai citare la fonte.* Se vi interessano le questioni più tecniche come quella della distribuzione, che in questa storia è decisiva, vi segnalo il pezzo di Robert Williams. E vi segnalo anche che Alexander Fury ha chiarito un po’ di cose relative ai numeri tramite una story su Instagram che può essere utile per avere un quadro generale: Alessandro Michele ha aggiunto un miliardo all'anno (più o meno) ai ricavi di Gucci e ne ha triplicato i profitti. I ricavi del brand sono cresciuti da 3,9 miliardi nel 2015 a 9,7 miliardi nel 2021. Michele ha scritto nel suo post di addio “ci sono momenti in cui le strade si separano in ragione delle differenti prospettive che ciascuno di noi può avere”, lasciando pochi dubbi. Non è dato sapere se quando ha sfilato a settembre facendo piangere il pubblico (me compresa) con il casting con i gemelli era consapevole che quello sarebbe stato il suo addio al brand, né se abbia già un nuovo progetto (o un’offerta) in ballo. Né tantomeno sappiamo se Gucci sia già pronto a sfoderare un nuovo direttore creativo in vista della sfilata maschile di gennaio 2023, il cui annuncio è stato fatto poche settimane fa, distaccandosi fortemente dalle scelte di unificare (e quindi diminuire) il numero di show annuali, come aveva annunciato appunto il designer durante il lockdown.
La classifica del valore dei brand forse la conoscete già. Per ripassare in ordine dal più alto c’è Nike, Louis Vuitton, Gucci (!!), Chanel, adidas, Hermès, Zara, H&M, Cartier, Uniqlo, Dior, Rolex e via così (il report completo è qui). Gucci è entrato in questa classifica anche e soprattutto per le scelte che sono state fatte in questi anni. Perché sono state scelte coraggiose: l’estetica genderless, il rallentamento, la sostenibilità, i giovani, il supporto all’arte. Come tutte le scelte coraggiose, probabilmente, hanno escluso delle opportunità economiche. E quindi, forse, quei numeri non sono stati abbastanza.
PEZZI BELLI DELLA SETTIMANA
Se essere Alessandro Michele non basta, pare che neanche essere Raf Simons basti (Rivista Studio) + il meme che ci meritiamo (1granary)
Sempre su Raf, le sottoculture britanniche che hanno influenzato il suo lavoro (i-D)
È giusto che il resale bandisca il fast fashion? (Vogue Business)
MODA DA GUARDARE, LEGGERE E ASCOLTARE
Oggi alle 14,30 in Triennale Silvia Schirinzi modera un panel con Jezabelle Cormio, Mauro Simionato di Vitelli e Luchino Magliano, a proposito di come sta cambiando la moda
Segnalo mostra bella a Fondazione Prada, Recycling Beauty (Collateral)
Eh vabbè, li avete visti i Måneskin su Vogue (intervistati da Alessandro Michele, tra l’altro)? Qui bonus track YouTube perché siamo gente versatile 👇🏻
SHOPPING LIST
Un piccolo gesto in questo weekend di sconti, non vi segnalo niente. Perché non bisogna comprare per forza 🌹
SCUOLA E LAVORO
Bottega Veneta cerca un pr intern, Armani | Exchange un Social Media Specialist, Prada un junior digital copywriter
Nel mondo pastello delle study influencer (SiamoMine)
👋🏻 Sono Federica Salto, ho 32 anni e faccio la giornalista. La moda, il sabato mattina è nata il 2 maggio 2020 e ogni settimana propone tutto quello che vi serve sapere della moda (e anche qualcosa di più). Se non lo hai già fatto e vuoi sostenere il mio lavoro 🌹
Prima di santificare l'era Gucci di Alessandro Michele, dovreste, voi del settore giornalistico Moda, parlare con qualcuno che per Gucci lavorava (i fasonisti intendo) poi ne riparliamo. E forse sarebbe il momento di conoscere il vero "costo" di certe operazioni di marketing che grava fortemente sulla sopravvivenza, portata al limite, di molte persone. Per quanto mi riguarda questo suo periodo come direttore creativo sarebbe da scrivere nei libri di storia di Marketing, non di moda. "I santi vanno in paradiso, tutti gli altri da Kering". Anna