#105 Gioie e dolori da direttore creativo
E rieccoci, una fashion week e una elezione dopo. Si vorrebbe essere più ottimisti, in generale, ma soprattutto le due cose insieme mi hanno fatto rimuginare intorno al tema del chi sta al comando. Lungi da me soffermarmi sulla prossima presidente del consiglio, mentre mi pare l’occasione buona per mettere qualche cosa in fila riguardo la professione più osannata, desiderata, detestata della moda: il direttore creativo.
Qual è la differenza tra stilista e direttore creativo? Tecnicamente il primo disegna e basta, mentre il secondo ha una visione progettuale e più ampia della direzione del brand che ha anche a che fare con la comunicazione. Negli ultimi anni il termine stilista è diventato desueto, non solo per una questione di orecchio, ma soprattutto perché anche la più piccola azienda di abbigliamento oggi pretende di trovare un direttore creativo, qualcuno che porti con sé la bacchetta magica del successo e del fatturato. A guardarsi indietro, però, sono pochissimi gli stilisti che sono stati “solo stilisti”. Anzi, il successo planetario di certi grandi brand deriva quasi sempre dalla capacità dei loro comandanti di fare abiti straordinari, certo, ma anche di saper creare connessioni, cogliere esigenze, insomma, spaziare. Gianni Versace era solo uno stilista? Oppure un visionario che ha avuto il geniale intuito di dare spazio alle modelle, trasformandole in supermodelle, icone pop uscite dagli spazi stretti della moda? Giorgio Armani è un maestro nel creare abiti, ma non ha anche avuto il grande pregio di collaborare con il cinema quando nessun altro nel fashion system se ne interessava? Se lo consideriamo come il padre dell’abbigliamento maschile contemporaneo, infatti, è anche grazie ad American Gigolò. Vogliamo dire che Coco Chanel era solo una stilista oppure che ha saputo raccontare le necessità delle donne della sua epoca mischiando abiti di fattura impeccabile a bigiotteria?
Quindi, che cosa è cambiato? Beh, si sono aggiunti giusto un paio di livelli di difficoltà. Oggi un direttore creativo crea per un pubblico globale. Potrebbe sembrare facile, ma in realtà il pubblico globale non è mica tutto uguale, quello che piace in Messico non piace in Cina e, tra l’altro, ci sono climi diversi, oltre che valori e credenze da rispettare. Crea abiti e accessori che sono venduti sia dal vivo che online, mentre queste due sono esperienze di acquisto completamente differenti, ognuna con i propri pregi e i propri difetti (faccio una T-shirt che al tatto risulti irresistibile per comfort e qualità oppure mi concentro su una stampa che attiri l’occhio tra mille altre? E siamo solo alle T-shirt, il capo facile da vendere per eccellenza). Poi c’è da capire come un brand dovrebbe raggiungere le persone: scegliere il mezzo (giornali di carta, istituzionali o indipendenti, giornali online, tv, Instagram, TikTok, YouTube, newsletter commerciali e ne sto dimenticando altre), dominarlo a livello tecnico (ognuno di questi richiede competenze specifiche) e, soprattutto, decidere cosa dire perché c’è foto e foto, perché le foto non bastano, perché bisogna trovare le parole e le voci giuste per raccontare la propria storia. Mal di testa? Sì, un po’ anche io, ma veniamo a noi. Tutte queste informazioni ora dovrebbero servirci come strumento per osservare e valutare quanto successo nei giorni scorsi, a partire dall’ultima news in ordine cronologico: Daniel Lee è il nuovo direttore creativo di Burberry, sostituisce Riccardo Tisci.
The Burberry affair. Era nell’aria da un po’, perché la direzione creativa di Tisci, durata circa cinque anni, non ha mai preso davvero il volo. Lo dico con un po’ di tristezza perché Tisci per me è una specie di creatura mitologica, studiavo quando il suo Givenchy era la cosa più spaziale della moda e ricordo a memoria ogni passerella. Fatevi un favore e prendetevi qualche minuto per rivedere le sue collezioni (2005-2017) ma anche questo bel formato del New York Magazine con Harriett Mays Powell:
È difficile dire perché con Burberry non sia andata, anche perché ci sono state diverse collezioni interessanti. Qualcuno ha scritto che il suo linguaggio è rimasto quello di prima, mentre il mondo è cambiato. Sta di fatto che l’ultima sfilata era prevista per il giorno in cui poi si è svolto il funerale della Regina, poi rimandata all’inizio di questa settimana, in un giorno cuscinetto tra le sfilate di Milano e quelle di Parigi in cui a Londra non c’era davvero nessuno e, due giorni dopo, l’annuncio della sostituzione. Puoi essere un direttore creativo da parecchio ma questo non ti risparmierà il tipico trattamento da mondo della moda 🙄 Tisci, comunque, ha risposto da gentleman con una video di ringraziamenti su Instagram e siamo tutti d’accordo sul fatto che ci sono tanti posti liberi che potrebbe occupare egregiamente. Al suo posto arriva Daniel Lee, un anno dopo la dipartita da Bottega Veneta. La sua uscita non è mai stata chiarita ma certo non si trattava di non vendere abbastanza borse (il brand ha visto i suoi conti crescere in impennata tra il 2018 e il 2021), mentre le voci di metodi lavorativi discutibili non sono mai state smentite.
I debutti dell’anno. Ve l’avevo anticipato, la Milano Fashion Week appena conclusa ha visto le prime collezioni di quattro nuovi direttori creativi. Filippo Grazioli, ex ufficio stile Givenchy e Burberry con Tisci, tra l’altro, da Missoni. Marco De Vincenzo, lunga esperienza con il suo brand, oltre che nell’ufficio stile borse di Fendi, da Etro. Maximilian Davis, britannico originario di Trinidad, alle spalle solo un paio di collezioni per il suo brand nato in pandemia ma considerato talentuosissimo, da Ferragamo. Rhuigi Villasenor, filippino con base a Los Angeles, il suo marchio Rhude corrisponde a una certa nuova estetica sud californiana di cui mi sono appassionata solo recentemente, da Bally. Non ci soffermiamo sulle singole collezioni perché so che potreste chiamare la polizia delle newsletter ma chiudo con un’osservazione da insider - se no a cosa serve che vada a vedere le sfilate? Le reazioni per Missoni ed Etro sono state tiepide, in termini di applausi finali, di chiacchiere da uno show all’altro, di commenti sui social. Da Ferragamo c’era Naomi che applaudiva in prima fila, da Rhuigi un tifo di amici del brand che manco allo stadio. Attenzione, a leggere le recensioni dei big - il mio quartetto ormai lo sapete: singole review su Vogue Runway (Missoni, Etro, Ferragamo, Bally), Tim Blanks + Angelo Flaccavento su BoF, Cathy Horyn su The Cut, Vanessa Friedman su New York Times - l’impressione è quella che per tutti ci sia ancora da lavorare, nessun critico si è sbilanciato, né a favore né a sfavore, di nessuno dei quattro. La sensazione, però, è che i due nomi internazionali siano supportati e raccontati meglio. Perché a un direttore creativo serve anche questo.
Siamo arrivati alla fine di questa prima parte e, prima di passare alla mega rassegna settimanale, vi ricordo che potete sostenere questa newsletter abbonandovi, costa 5 euro al mese o 50 all’anno 👉🏻👉🏻👉🏻
COSE CARINE A CUI STO LAVORANDO
E sempre a tema support your local business sono contenta di fare un po’ di autopromozione e segnalare le mie review su Vogue Runway: Cormio, GCDS, ANDREĀDAMO, Vivetta. Dovete sapere che essere su Vogue Runway per i brand è fondamentale 1. perché è il punto di riferimento per addetti ai lavori e non per vedere le immagini delle sfilate 2. perché è un’attestazione e un riconoscimento del loro lavoro a livello internazionale. Avrei voluto vedere un paio di nomi in più ma ci arriveremo, ora vado a riprendermi da questa leggera ansia da prestazione che ha pervaso le mie giornate (ma sono anche feliciona!!)
Non posso non segnalarvi almeno un pezzettino dell’enorme lavoro di redazione che abbiamo fatto in questi giorni (e le sfilate non sono ancora finite): l’imperdibile sfilata di BOTTER, l’intervista alla filantropa Ellen MacArthur, le crinoline di Dior, il vintage secondo Vernisse, la meravigliosa Valeria Buldini, il reportage dei nuovi nomi da seguire, il makeup pazzesco di Simone Gammino
Non sono andata a Parigi perché questo weekend è tutto in famiglia e ve lo segnalo lo stesso anche se ho come la sensazione che siate un po’ fuori target - ma sono sicura che anche i modaioli ogni tanto pensano ad altro: dopo due anni di stop causa COVID torna l’evento curato da Json e dedicato allo sport per bambini e adulti. A un certo punto c’è anche la musica e le birrette, comunque. Speriamo di vedervi numerosi - se venite parliamo anche un po’ di Valentino e Balenciaga, dai. Trovate tutte le info qui
PEZZI BELLI DELLA SETTIMANA
So che attira opinioni contrastanti, ma a me Stylenotcom fa simpatia (il suo profilo è anche diventato la mia fonte per le micro news, dici poco). In questi giorni di first row si è raccontato a Lauren Sherman (BoF)
Rachel Tashjian intervista Miuccia Prada a proposito di Miu Miu (Harper’s Bazaar)
Un recap emotivo della MFW, firmato Cristina Manfredi (Marieclaire)
MODA DA GUARDARE, LEGGERE E ASCOLTARE
Una bella ricerca di momenti iconici dalle sfilate (i-D)
Ma quanto ci piace Ryan Gosling testimonial di Gucci? 👇🏻
SHOPPING LIST
Sono sempre più attratta da mini e-commerce con foto fatte in casa come Le Apt, anche voi? Account IG utile per everyday look basici ma carini
Mercoledì in newsletter parliamo di stivali, intanto beccatevi questi di Gia Borghini
SCUOLA E LAVORO
Tiffany & Co. cerca un director, Global Creative Strategy - Store & Brand Experience, Prada un jewerly project manager, Gucci un digital copywriting manager, Loro Piana un digital specialist
Una guida utile per scrivere una feature (ijnet)
E direi che anche questa settimana ci siamo detti tutti, ci vediamo domani dal vivo, mercoledì con lo shopping e sabato qui 🫶🏻
👋🏻 Sono Federica Salto, ho 32 anni e faccio la giornalista. La moda, il sabato mattina è nata il 2 maggio 2020 e ogni settimana propone tutto quello che vi serve sapere della moda (e anche qualcosa di più).