#135 Albini, Do e un dolcevita
Ciao ☕ Grazie per i tanti feedback della scorsa settimana, mi fa piacere che i cambiamenti siano sempre apprezzati da queste parti. Che settimana è stata la vostra? La mia è iniziata con l’arrivo di un frigo pieno di gelati in redazione, quindi bene. Peccato che all’ora di pranzo di mercoledì fossero già finiti. Breve ma intenso.
IL RILANCIO DI ALBINI È LA NOTIZIA DELLA SETTIMANA
E quindi noi andiamo per step:
Chi era Walter Albini. Classe 1941, è noto come il primo, grande stilista italiano. Da un punto di vista anagrafico vengono prima Valentino Garavani (del ‘32) e Giorgio Armani (del ‘34), ma mentre il primo si concentra sulla Couture, il secondo fonda la sua azienda più tardi rispetto a quanto fa Albini, nel 1975. Stesso discorso per Gianfranco Ferré, nato nel 1944 e passato proprio dal brand Albini prima di fondare il suo brand omonimo, nel 1978. Dopo di lui, Gianni Versace, del 1946.
Perché è famoso. Date un’occhiata all’account ufficiale del suo archivio. Oltre ai vestiti, narratori delle mitiche decadi che ha attraversato durante la sua carriera, troverete una grande forza comunicatrice. Walter Albini è ricordato come il più potente degli storyteller. Oggi lo chiameremmo, naturalmente, direttore creativo. All’epoca, invece, fu Anna Piaggi, altro potente personaggio della storia della moda italiana, a coniare il termine “stilista” appositamente per lui.
Poi cosa è successo. Lo stilista è morto giovane, a 42 anni, si dice di AIDS. A un certo punto Marisa Curti, sua grande collezionista, ha coltivato un grande archivio, poi tenuto in custodia da sua figlia Barbara. Dopo mesi di speculazioni è arrivata la conferma che Bidayat, piattaforma di proprietà dell’imprenditore e investitore egiziano Rachid Mohamed Rachid, già proprietario del gruppo Mayhoola di cui fanno parte Valentino Fashion Group, Balmain e Pal Zileri, ha acquisito l’archivio e la proprietà intellettuale del marchio Walter Albini.
Chi guiderà Walter Albini Tra le chat whatsapp e le speculazioni online viaggia un solo nome, quello di Alessandro Michele, che il 23 novembre scorso ha lasciato la direzione creativa di Gucci. È vero? Non ne ho idea. Staremo a vedere.
Due cose di contesto. La prima è l’interessante fascinazione che hanno i businessman del lusso nei confronti dei silent brand, cioè quei marchi che non hanno cessato di esistere ma sono stati messi in pausa dopo la morte o l’uscita dei loro leader creativi. L’altro celebre italiano è Gianfranco Ferré, mentre alcuni molto noti sono stati riesumati negli ultimi decenni. La seconda è quella relativa al piccolo impero di Rachid, che non può competer con quello di Bernard Arnault, proprietario del gruppo LVMH nonché uomo più ricco al mondo, ma che è comunque in crescita. A proposito di LVMH, fa impressione vederlo così 👇🏻
VIDEO A TEMA DA RECUPERARE:
A proposito di questi big names: Giorgio Armani cerca un press officer, Valentino pure.
Abbiamo già parlato di old money e di quiet luxury da queste parti, ma se come me state guardando l’ultima stagione di Succession, probabilmente, non ne avete abbastanza. Raramente mi succede di aspettare una certa sera per l’uscita di una puntata (il lunedì, nello specifico, ormai diventato sacro) e ancora più raramente il modo di vestire di un personaggio di una serie mi incuriosisce tanto da buttarmi a capofitto in una ricerca (@successionfashion, in ogni caso, riporta ogni singolo capo e accessorio). È successo con il meraviglioso dolcevita a coste di Shiv, per la cronaca.
Ma al di là della mia esperienza personale, la cosa è interessante è che nella serie i vestiti sono aderenti alla realtà. A una certa realtà, quella dei ricchi americani, ma la raccontano benissimo. E raccontano il successo di due brand italiani, Loro Piana e Brunello Cucinelli, iperpresente nel guardaroba di Kendall, Roman e Shiv, re indiscussi del quiet luxury. Sentite come ne parla Jansen Garside.
E se il tema vi appassiona, qui c’è una lunga intervista alla costume designer.
Il 20 e il 21 maggio a Milano c’è CIAOMONDO FESTIVAL, una di quelle iniziative bellissime in cui mi capita di incontrarvi, quindi magari ci vediamo lì!
Vorrei un mondo fatto di pochi longform e tanti link, invece che di quintali di micro news che non aggiungono niente a un post Instagram (tanto meglio, allora, solo il post Instagram). Se frequentate il New York Magazine nella sua versione cartacea sapete che è una specie di giornale sottiletta, stampato su una carta triste e pieno di quelle pagine finali con le pubblicità così diverse dalle nostre. Ma quei longform, quelle cover, sono capaci di trasformare i numeri sottiletta in oggetti preziosi che colleziono con entusiasmo. Solo degli ultimi mesi ricorderete la storia sui nepobabies e quella sull’Ozempic.
Ora arriva quella sulle New York it girls accompagnata da una strategia Instagram che fa volare. Due di queste tre storie sono firmate da Matthew Schneier, da sempre nella mia top ten dei giornalisti preferiti. Sarebbe bello applicare lo stesso gioco da noi: chi sono state le vere it-girls italiane oggi?
Peter Do, designer vietnamita cresciuto a New York, è il nuovo direttore creativo di Helmut Lang: qui tutti i dettagli. Ne avevo parlato un anno fa come uno dei protagonisti della NYFW con, a dire la verità, un accento molto europeo. Do ha infatti lavorato con Phoebe Philo e sta un po’ in quel mondo lì dei suoi eredi stilistici. Una cosa che forse non sapete: era già famoso ai tempi di Tumblr.
L’incoronazione l’ho seguita poco, ma ho trovato interessante ricevere per la prima volta una mail con il credito di un look royal: Harry, duca di Sussex, ora è libero di vestire Dior (e di dichiararlo al mondo). Qui un piccolo deep dive.
Asha Salim è una delle ragazze più interessanti che abbia conosciuto negli ultimi anni e le sue riflessioni mi arricchiscono umanamente, ogni volta. Ha una newsletter e questa settimana ha parlato dell’utilizzo della lingua italiana per gli afrodiscendenti.
Così, friendly reminder per concludere, e noi ci risentiamo sabato prossimo!